Cantiamo, ma parliamone (fra direttori)

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    Il dibattito sulla coralità.

    Ci ritroviamo per cantare, o cantiamo per ritrovarci?Sembra un gioco di parole, ma non lo è affatto! Dovrebbe diventare il setaccio per filtrare pensieri e percorsi del nostro ‘Far coro’. È importante il canto o quello che sta attorno al canto? È importante la divisa, il presentatore, il consiglio direttivo, il cappello alpino (nel nostro caso) oppure il livello delle esecuzioni, la nostra convinzione e sincerità, la preparazione del direttore? Parlare della crisi esistenziale, repertoriale della sola coralità alpina, cercando a destra e a sinistra motivazioni e giustificazioni, significa non comprendere la vera entità della questione che tocca tutta la coralità.

    Sono musicista a tempo pieno, innamorato del canto corale a 360 gradi, alpino capocoro (brigata Julia 1981). Ho avuto l’onore di dirigere il grande coro Julia all’adunata del 1999 a Udine. Ho quarantaquattro anni e, per scelta e lavorando sodo, mi trovo a confrontarmi con le tante sfaccettature del mondo corale, dal professionismo all’amatorialità. Davanti ad ogni coro (polifonico, popolare) la prima regola per una buona salute è quella della velocità di produzione: migliorare la fase della lettura e dell’apprendimento della singola parte significa arrivare ai sei/otto canti nuovi ogni anno (e non uno/due come dichiarano molti cori).

    Significa rispondere alle esigenze dei cantori, dei loro diversi gusti, e soddisfare la specificità della manifestazione (e qui molti nostri cori dovrebbero riflettere). Esistono ancora rassegne e concerti dove si entra alle 20.30, dopo venti minuti si affaccia il presentatore che chiama al microfono il sindaco assessore parroco poeta, poi arriva finalmente il primo dei tre cori e sono già le 21,10 ma non si canta ancora: c’e il bepidemarzimitatore che comincia a raccontare… e racconta…

    Lasciamo parlare chi lo sa fare! Alle 23 si esce dopo aver ascoltato sedici brani, più il pezzo a cori uniti, immancabile, inutile, scontato, quasi sempre finto e impreciso: poveri Montanara e Signore delle cime! Due ore e mezza per un’ora o poco più di musica: è un prezzo troppo alto! A concerto si viene per far musica e per ascoltarla; per parlare organizzeremo dibattiti e conferenze. Le stesse targhe o regali potrebbero non interessare il pubblico in sala: perché non valorizzarle creando un’occasione dopo concerto?

    La varietà delle proposte, poi, non è sempre indice di maggior godibilità: ‘Maledeta la sia questa guera’ è il dolore che diventa magia corale e magari, subito dopo, rimproveriamo Piero che ‘pizzega inveze de vardare’.

    Non è facile critica la mia, amo troppo il canto corale per deriderlo gratuitamente; voglio solo allargare il dibattito portando le mie esperienze. Concludo con un invito alla collaborazione: tentare di nascondere le proprie lacune è segno di ignoranza; volerle colmare dimostra umiltà ed intelligenza. Collaborazione tra direttori, prima di tutto, senza gelosie o timori. Collaborazione tra cori, con coristi esterni che partecipano occasionalmente all’allestimento di un importante avvenimento (leggi rassegna, viaggio, incisione). Ritroviamoci, allora, per cantare! Grazie per l’ospitalità e buon canto a tutti!

    Mario Lanaro