Bassano Alpina

    0
    319

    Non c’è territorio che trasudi più alpinità e non c’è sodalizio più legato al suo territorio. Ecco perché i cento anni della Sezione di Bassano del Grappa – Monte Grappa per gli amici – celebrano un connubio unico. Quelle degli anni Venti del secolo scorso erano famiglie che avevano avuto alpini nel loro grembo, in una terra appena uscita dalla guerra. Fu in quei frangenti in cui molti avevano subito lutti, distruzioni e disagi che gli alpini e la comunità si seppero risollevare. Se si ascolta bene, sembra di sentirli ancora quegli alpini di inizio secolo partire la domenica con pochi “fanfaristi” dal centro di Bassano per recarsi nei paesi limitrofi ad accogliere adesioni…

    Presidente, la vostra Sezione è nata il 10 febbraio 1920 a Bassano Veneto. Ma nella relazione intitolata “Vita della nostra Associazione”, pubblicata su L’Alpino nell’aprile 1921, si legge: “Udine e Venezia hanno regolarmente costituito la loro Sezione. Roma, Trieste, Bassano, Bologna, Treviso, Bergamo, Belluno, sono in costituzione, e si attende la fine dell’ardente periodo elettorale per regolarizzarne lo Stato Civile”. Come si spiega questa discordanza temporale?

    Il peccato originale di questa anomalia ha un nome ben preciso e risponde al nome di “Alluvione veneta del 1966” che fece esondare il Brenta allagando i locali dell’attuale museo sezionale ma che a quel tempo ospitavano l’archivio storico sezionale. Andarono così perduti tutti i documenti che ne certificavano la fondazione e le attività fin lì svolte. Si salvarono degli stralci di giornali che riportavano la data del “10 febbraio 1920” come quella della “neo costituita Sezione Monte Grappa”. Esiste anche un libro “Storia dell’Associazione Nazionale Alpini”, edito dall’Ana nel 1992, che riporta e sancisce ulteriormente tale data di origine. Al di là comunque del discutere su una data piuttosto che su un’altra l’importante è esistere, come realtà strettamente radicata al territorio e così legata alla sua storia da aver ne adottato fin dalle origini il nome che ne interpreta e sintetizza valori ed emozioni, Monte Grappa. Non è mai prevalsa in noi la presunzione “da podio” quanto invece la responsabilità dell’essere protagonisti della storia dell’Ana, con serietà, passione e simpatia, rinnovando a tutti gli alpini d’Italia l’invito a visitare il ponte dedicatogli, senza alcuna gelosia nostrana. Sperando anzi di poterli incontrare numerosi al momento della prossima inaugurazione, a restauro ultimato, cantando tutti insieme, come recita la famosa canzone, “Sul ponte di Bassano noi ci darem la mano…”.

    Quali sono i momenti fondamentali della storia della Sezione e i personaggi più importanti?

    Ripercorrendo il sentiero della nostra storia riscopriamo i personaggi che hanno fatto grande la Monte Grappa, a partire dal primo Presidente Ugo Cimberle (1920-’46) che fornì di una veste organica la Sezione ma visse anche il periodo turbolento della Seconda guerra mondiale con i richiamati alle armi e i più “veci” a casa che si spesero, come potevano, in aiuto dei combattenti e delle loro famiglie. Il suo successore, Bruno Solagna (1946- ’51) fu il Presidente del rinascimento sezionale e della ricostruzione del Ponte che venne inaugurato il 3 ottobre 1948 durante la prima Adunata del dopoguerra. Il periodo d’oro per la Sezione proseguì e si rafforzò con Gino Sartori (1951- ’58) che seppe interpretare sogni e speranze delle penne nere e decise di acquistare la splendida sede sezionale che si affaccia sulla porzione occidentale del ponte. Tra i meriti del visionario Augusto Fabris, detto “Uti” (1958-’82), c’è la nascita del coro, della fanfara, del nucleo sportivo; fondò anche il Reparto Donatori di Sangue e la locale sezione dell’Aido (donatori di organi) a cui negli ultimi anni si è aggiunta anche l’Admo (donatori di midollo osseo). Attività seguite ad un aumento consistente degli iscritti che permisero di realizzare opere come la ristrutturazione della sede e del Ponte dopo l’alluvione e garantire un importante sostegno al Friuli terremotato. Grazie poi al Gruppo di Cavaso venne edificata la chiesetta sul Tomba, meta del “Pellegrinaggio alpino dal Grappa al Tomba”, oggi manifestazione nazionale. Fabris pose anche le basi per la nascita del giornale sezionale “Sul ponte di Bassano” che si affermò con il nuovo Presidente Ermenegildo Moro (1982-’85). Uomo di lettere, reduce delle guerre di Albania e Russia, Moro ebbe il merito di corroborare il senso di appartenenza e l’orgoglio alpino. Il “Presidentissimo” Bortolo Busnardo (1985-2006) segnò fortemente la vita della Sezione incentivando l’attività solidale all’estero con la costruzione di un villaggio in Madagascar, dell’Asilo Sorriso a Rossosch (Russia), di una scuola a Fortim (Brasile), il Villaggio del Fanciullo in Lituania, un collegio in Mozambico e dell’ospedale dell’isola di Fogo a Capo Verde. Fu anche il sostenitore dell’Adunata a Bassano nel 2008 che il suo successore Carlo Bordignon (2006-’12) ebbe l’onore e l’onere di realizzare. La presenza di 10mila alpini alla cerimonia nel Sacrario di Cima Grappa e l’omaggio silenzioso ai Caduti fissarono nell’eternità un momento indimenticabile. Quelli furono gli anni del raduno di Raggruppamento e delle Alpiniadi estive ma anche la nascita del progetto “La 8 giorni degli alpini”, con i giovani dai 18 ai 23 anni che assaporano la vita in caserma e quello che ci insegnavano durante la naja. A queste figure, inoltre, è doveroso aggiungere anche l’attuale Presidente nazionale, Sebastiano Favero, alpino del Grappa per eccellenza. Risulta difficile parlare diffusamente degli innumerevoli interventi e delle opere realizzate negli anni. Ricordo i più eclatanti come l’esperienza del terremoto in Friuli quando nacque il nucleo sezionale di Pc (che conta oggi 260 volontari), i terremoti dell’Irpinia, Abruzzo, Umbria ed Emilia Romagna e quelli nelle grandi alluvioni dell’astigiano e del vicentino. Oltre all’impegno costante nei lavori di manutenzione e nell’affiancamento per la custodia dei Sacrari Militari di Cima Grappa con il contributo delle Sezioni di Treviso, Valdobbiadene, Feltre, Brescia e Venezia. Senza tralasciare la costituzione del nucleo storico dei rievocatori e del nucleo di someggiata con i muli. Ho raccontato degli alberi più alti della nostra foresta, ma sono altresì convinto che il valore assoluto di alpinità lo si raggiunge nel quotidiano dove migliaia di alpini silenziosamente hanno operato, e continuano a farlo, anonimamente, fieri del proprio spirito di Corpo e forti dell’appartenere a qualcosa di unico e irripetibile.

    Il Veneto è una delle regioni a maggiore densità alpina. Cosa contraddistingue la vostra Sezione da quelle vicino e come vivete il territorio?

    La Sezione di Bassano del Grappa è tanto simile quanto differente dalle consorelle per piccoli aspetti, all’apparenza insignificanti ma sostanzialmente determinanti. Questi si identificano direttamente con il territorio e i suoi abitanti elevando, di fatto, la Sezione al ruolo di ambasciatrice di un comune sentire, orgogliosa del proprio appartenere a quella specifica comunità, così diversa dalle consorelle ma altrettanto fatalmente legata alla storia comune dell’Ana. Piccolissime sfumature diverse fra loro ma racchiuse in un’unica anima e un unico cuore.

    Sono molti anni che la Sezione è impegnata in attività di solidarietà all’estero. Come nasce questa propensione?

    Bassano grazie alla sua posizione strategica, all’imbocco della Valsugana, vera via d’accesso da e per la Germania e l’Austria, ha da sempre, fin dagli albori, avuto una propensione esterofila, legata alle attività produttive e commerciali, per cui nei secoli addietro non c’era luogo al mondo dove non si potesse trovare un bassanese. Evidentemente questo Dna è rimasto anche nell’animo alpino per cui non si possono contare gli interventi dei nostri volontari fuori confine, orgogliosi di esportare l’eccellenza bassanese, testimoniata dai progetti realizzati negli anni in Kossovo, Lituania, Mozambico, Madagascar, Capo Verde e Brasile.

    In cent’anni avrete vissuto gioie e dolori. Quali sono stati i momenti più belli e quelli più complicati della vostra vita associativa?

    Il momento più gratificante è sicuramente rappresentato dal raggiungimento dello scopo prefissato, frutto di programmazione, impegno e dedizione. E in cento anni ne sono stati vissuti tanti, ognuno unico per caratteristiche e peculiarità ma così esaltanti da generare entusiasmo vitale per il prosieguo di una storia cosi lunga. Naturalmente spiccano le due Adunate nazionali: la prima nel 1948, per l’inaugurazione della ricostruzione del Ponte palladiano distrutto da evento bellico e diventato da allora il “Ponte degli Alpini” per antonomasia. La seconda nel 2008, che non fu semplicemente l’Adunata di Bassano ma che coinvolse totalmente il territorio limitrofo, superando i confini sezionali. Dispiace invece quando ci si trova a discutere all’infinito su motivi banali, generati da invidie personali, figlie il più delle volte della presunzione di qualcuno di apparire, rischiando contrapposizioni sterili e antipatiche. Questi sono i momenti che un presidente non vorrebbe mai dover vivere, perché convinto che chi indossa il cappello alpino dovrebbe sempre saper interpretare il ruolo assegnatogli con generosità e umiltà. A partire dal sottoscritto fino all’ultimo degli alpini dovrebbe esistere un solo motto: fare con umiltà.

    Le manifestazioni programmate in aprile 2020 per il Centenario sono saltate a causa dell’emergenza Coronavirus. Qual è lo stato d’animo e cosa si sente di dire ai suoi alpini?

    Sembra quasi che il destino sia stato beffardo negandoci la gioia di condividere momenti che negli intenti avrebbero dovuto unire memoria e sentimenti. Io invece sono convinto che grazie a questa emergenza che ci ha all’apparenza privati di qualcosa ci si sia invece arricchiti ancora di più nell’animo. Non si contano gli interventi sia di Gruppo che di Sezione, soprattutto con la Protezione Civile, da parte dei miei alpini. E sia pur a distanza non li ho mai sentiti così vicini e presenti, sempre generosamente in prima fila impegnati per fronteggiare questa pandemia, emuli di chi tanti anni prima si spese in ben altro modo nelle trincee di prima linea nelle nostre montagne. Se mai avessimo pensato ad un centenario indimenticabile non sarebbe potuto essere diversamente, considerato che per un alpino l’eccezionalità è il quotidiano.

    Quali sono le prospettive per il futuro, tenendo conto anche della vitalità dei gruppi alpini?

    A volte mi trovo a commentare questa sorta di idiosincrasia così evidente nel mondo alpino, per cui a fronte di un inevitabile invecchiamento dei soci si riscontra un aumento di attività. La risposta non sta tanto nella ragione quanto nel cuore, per cui ancora adesso adesso, dopo cento anni, si possono rintracciare in ogni alpino quei caratteri fondanti che mossero i primi soci a dare vita a una realtà dedita al volontariato gratuito.Sono quindi convinto che fino a quando il cuore prevarrà sulla ragione non rischieremo l’estinzione.

    Aggregati e Amici degli alpini, giovani e servizio obbligatorio, attività di solidarietà e Protezione Civile: se dovesse scegliere un ambito su cui puntare per il rilancio del nostro futuro come Associazione, quale preferirebbe?

    Argomento delicato e spinoso e soggetto di infinite discussioni. È nostro obbligo analizzare un progetto serio e sostenibile per assicurare non un futuro ma, il futuro, alla nostra Associazione, così tanto amata quanto invidiata. Di una cosa sono convinto, che non si possa più far finta di niente, come se nulla dovesse accadere o meglio ancora che nulla possa cambiare. Abbiamo l’obbligo morale verso la nostra storia di capire che siamo di fronte ad un bivio: continuare così, illudendoci che nulla possa accadere, quasi come l’orchestra che mentre il Titanic stava affondando, continuava a suonare illusa dell’effimero presente piuttosto che aggrappata a uno spiraglio di speranza. Altrimenti siamo chiamati a un confronto schietto e costruttivo fra di noi, che ricordo avere in mano il destino futuro dell’Ana e la cui storia ci impone di prendere posizione. L’Associazione Nazionale Alpini è unica nel suo genere e si distingue a modo suo fra tutte le consorelle d’arma a cominciare dallo statuto che ne ha contraddistinto fin dall’inizio l’unicità. Se pensiamo al fatto che chiunque può ambire anche alla massima carica nazionale a prescindere dal proprio grado acquisito sotto le armi, possiamo constatare come già i padri fondatori avessero rotto gli schemi fin dalle origini. Dovremo avere il loro stesso coraggio ed essere visionari allo stesso modo, fregandocene di preconcetti e luoghi comuni, perché la nostra storia non ne ha mai avuti. Qualsiasi forma di volontariato, se perfettamente integrata e rispettosa dei dettami statutari che ci vincolano al fare memoria, può essere un veicolo privilegiato ad assicurare il futuro dell’Ana. Decidere è difficile ma non decidere niente è da vigliacchi e traditori. Vale la pena ricordare quanto sia carico di Medaglie d’Oro al Valor Militare il nostro Labaro e quanto sia pesante l’eredità tramandataci attraverso la storia coraggiosa ed eroica che rappresenta. Siamo noi gli arbitri del nostro destino. 

    m.m.