Bartolomeo Discorbite, da Ponzone a Tambov

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    Gli alpini del gruppo “G. Garbero” (sezione di Acqui Terme) con i marinai della sottosezione si sono raccolti nel ricordo di un Caduto, il ponzonese Bartolomeo Discorbite, classe 1911, 104° rgt. Alpini di marcia, caduto in Russia il 22 marzo del 1943. La sua piastrina di riconoscimento, trovata da un alpino, Antonio Respighi di Abbiategrasso, durante un viaggio nelle terre del Don, è stata consegnata ai figli Michele e Clara nel corso di una commovente cerimonia.

     

    C’erano il sindaco Gildo Giardini e altre autorità che con gli alpini hanno deposto un mazzo di fiori presso i cippi delle frazioni che riportano i nomi dei Caduti delle due guerre mondiali. Poi, nel piazzale del Municipio, alzabandiera al suono dell’Inno di Mameli e deposizione di una corona d’alloro al monumento all’Alpino. Nella parrocchiale di San Michele è stata quindi celebrata una Messa a suffragio dei Caduti e infine la consegna della piastrina di riconoscimento ai figli dell’alpino Bartolomeo Discorbite.

    Un momento particolarmente intenso è stato il racconto, in un silenzio irreale, della storia di Bartolomeo Discorbite fatto dal capogruppo Sergio Zendale. «Di Bartolomeo Discorbite, militare e alpino – ha detto Zendale – sappiamo ancora poco: era stato dato per disperso in combattimento il 31 gennaio del ’43, ma dopo l’apertura degli archivi sovietici a seguito del crollo del regime comunista, è stata accertata la sua morte avvenuta il 22 marzo dello stesso anno, in un campo di prigionia. Sul fronte russo Bartolomeo Discorbite era aggregato alla 602ª compagnia “Ceva”, facente parte del 1° btg. complementi dei due battaglioni (Fucilieri e Armi di Accompagnamento) che componevano il 104° Alpini di marcia.

    Questo reggimento era stato organizzato il 20 giugno del 1942 con due battaglioni e otto compagnie. Con il 102° ed il 103° battaglione costituiva la 3ª brigata Alpini di marcia che riuniva i complementi, non solo per la Divisione Cuneense ma per l’intero Corpo d’Armata Alpino. Nel luglio del 1942 iniziò la partenza per la Russia dei reparti dell’ARMIR e nel dicembre dello stesso anno toccò anche al reggimento di Discorbite, che arrivò a Rossosch il 10 gennaio 1943 per dare il cambio agli alpini del battaglione sciatori “Monte Cervino”.

    Stava per iniziare la devastante offensiva russa; il 16 gli alpini ebbero furibondi scontri contro truppe appoggiate dai carri armati. Schierati sulla destra del Don nel terribile inverno russo, in una striscia di trenta chilometri gli alpini subirono attacchi ed organizzarono controffensive. Nikolajewka incombeva, con la disfatta, la morte, l’orrore, la ritirata. Bartolomeo Discorbite fu catturato e con migliaia di altri prigionieri da Valuikij fu avviato verso i campi di prigionia, in quella tragica marcia del davai». I prigionieri – come sappiamo – ebbero vita tragica, al punto di sperare di morire piuttosto che subire tanto dolore: settimane di marcia e di tradotta – 200 per vagone a meno 38 gradi – per finire a Tambov Uciostoje (Kobotowo), campo n. 56.

    Quello di Tambov fu uno dei più terribili: la mortalità dei prigionieri, sottoposti a condizioni disumane di detenzione, fu la più alta di tutti i campi di prigionia, oltre l’80 per cento. Cause principali di morte: inedia, dissenteria, tifo petecchiale, congelamento (in quel periodo la temperatura media variava da meno 38 a meno 42 gradi). Sono avvenuti anche casi di cannibalismo. Nel campo “56” sono morti 4.344 prigionieri, e a Rada, l’altro campo di Tambov, 3.482.

    Complessivamente risultano sepolti nei campi di Tambov 8.127 italiani, ed almeno un altro migliaio in fosse comuni lungo la linea ferroviaria in prossimità dei campi, deceduti durante il viaggio e scaricati dai treni. Si stima che dei 20.000 prigionieri di questi due campi, di cui 10.000 italiani, ne siano sopravvissuti soltanto un migliaio. La maggior parte morì nella seconda metà di marzo, come l’alpino ponzonese Bartolomeo Discorbite. Di lui, 68 anni dopo, è ritornata, con i numeri appena leggibili, la piastrina.

    w.g.

    Pubblicato sul numero di maggio 2011 de L’Alpino.