Ancora sull'Ortigara, dove umano e divino s'incontrano in un abbraccio di vita

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    Quando, a mio padre che mi chiedeva quale fosse l’impegno alpino del momento, avevo risposto che partivo per andare in Ortigara, mi ero sentito rispondere: Ancora?Ma non ci siete appena stati? Aveva ragione. Eravamo saliti alla Colonna Mozza, il più semplice e al contempo il più sacro dei monumenti alpini, il sabato prima della sfilata di Asiago da nemmeno due mesi.

    C’era la neve c’era un gran silenzio. Anche oggi, senza neve, c’è sempre lo stesso silenzio, nonostante le tante centinaia di alpini che risalgono le pendici della montagna sacra agli Alpini e all’Italia. Siamo in tanti a salire, ma siamo soli. Soli con la storia di un impegno, di un giuramento sussurrato sui campi di battaglia dalle migliaia di alpini moribondi e raccolto dai superstiti.

    Un giuramento che padre Giulio Bevilacqua, quale superstite dell’orrenda battaglia, ha splendidamente sintetizzato in una battuta: Noi mormorammo: addio; voi: a rivederci!.. Senza chiedersi se fosse opportuno o meno salire di nuovo alla Colonna Mozza dopo appena due mesi, una moltitudine di alpini saliva in silenzio. Gli alpini non fanno ragionamenti di opportunità: fanno quello che è giusto. Fanno quello che sentono di dover fare. E non si può obbligarli. O lo sentono, a allora non riesci a fermarli, o non lo sentono e allora, come i muli, si impuntano e non li sposti nemmeno a cannonate.

    Ma l’Ortigara è la fonte dello Spirito Alpino e dunque senza chiedersi se era opportuno o logico tornare dopo appena due mesi, gli alpini sono tornati al cospetto della Colonna, in compagnia di un’emozione che si libera solo verso la fine della celebrazione eucaristica in un canto sommesso e sentito. Signore delle cime , prima, e subito dopo il Ta pum , sussurrato come la più intima delle preghiere.

    Il Labaro è scortato, per l’occasione, dal vice presidente nazionale Alessandro Rossi. Non è certo nuovo a cerimonie del genere. Ha sulla spalle un’intera vita dedicata agli alpini. Ma quel canto colpisce l’anima di tutti i presenti e l’emozione che ne deriva si libera in un pianto, anch’esso sommesso e intimo. Quando ci ritroviamo più in basso, a cima Lozze per la cerimonia ufficiale, il vice presidente Rossi ha ancora gli occhi arrossati. Il tempo, nel frattempo, volge al brutto ma il Labaro deve fare il suo ingresso a fianco della chiesetta sotto lo sguardo benevolo della madonnina dell’Ortigara. E’ preoccupato Rossi. Deve tenere l’orazione ufficiale. Saranno trent’anni che parla in pubblico tutti i sabati e le domeniche. Ma in Ortigara e di fianco al Labaro non lo ha mai fatto.

    L’emozione con la quale pronuncia le prime parole gli fa tremare la voce. Superato il primo impatto, tuttavia, le parole scorrono lievi e al contempo potenti. Prima del saluto alle autorità, rende omaggio a quanti in questi luoghi come in altri che hanno segnato la storia del nostro popolo e della nostra Patria sono degni di essere inclusi quali autorità eccelse e sublimi: Fanti, Bersaglieri, Artiglieri, Carabinieri, Aviatori, Alpini, Kaiserschutzen, Sturmtruppen, Feldjage . Ricorda il sacrificio dell’Ortigara ( dove si toccano e si confondono l’umano e il divino in un abbraccio di vita, non di morte ) e il suo significato più profondo, ricorda il discorso che padre Bevilacqua fece nel 1920, le impressionanti descrizioni di Monelli due protagonisti che hanno disegnato e dipinto il quadro della tragedia dell’Ortigara. Pennellate decise, sferzanti, anche poetiche; intrise di fango, di aria irrespirabile, di gemiti sempre nuovi; di reticolati impenetrabili e di Schwarzlose micidiali; di bestemmie, di atroci lamenti, di giovani vite travolte e dissolte nel nulla; di sommesse preghiere; di freddo e di fame .

    Gli alpini ascoltano in silenzio. E’ un discorso a tratti difficile, ma gli alpini non fiatano. Sono rapiti dalla potenza dell’ispirazione di quell’uomo con la barba bianca. Su questa montagna, autentica cattedrale, avete e abbiamo rinnovato il rito di un pellegrinaggio vero, in cui, come in altri, si esalta il concetto dell’essere alpini e Italiani di razza. Un pellegrinaggio che vorremmo fosse imponente per numero, ma soprattutto per convinta, intima, spontanea partecipazione ad una sacralità umana che diventa, alla fine, divina e che qui, straripa impetuosa da ogni sasso. Se saliamo lassù per non dimenticare incontreremo lo Spirito dei Padri. E a chi verrà dopo di noi trasmetteremo il furore, sì il furore di un impegno che, 89 anni orsono, i nostri Soldati hanno contratto con l’Italia. Da qui dunque la riconoscenza di tutti e, doverosa, anche da parte di coloro che, incredibilmente, si permettono affermazioni offensive ed inquinanti più di quanto non facciano le Frecce Tricolori, eredi di Francesco Baracca e di 145 velivoli impegnati il 16 giugno 1917 su questo Fronte.

    Ma gli alpini non si limitano a ricordare. Essi lottano con le unghie e con i denti perché questa memoria venga preservata e il furore di quell’impegno contratto quasi novant’anni fa non si vada affievolendo. E rivolgendosi agli alpini del picchetto d’onore del 7º Reggimento schierato davanti all’ossario Rossi ha concluso: Giovani, ufficiali, sottufficiali graduati, semplici alpini di qualunque parte d’Italia voi siate: è tempo!

    E’ tempo di vivere con intensità, con consapevolezza, questi rari momenti; non accontentatevi di calcare un cappello di foggia strana, con una ancor più curiosa penna di gallina o di corvo o d’aquila. Quel cappello non rappresenta solo un copricapo per una scelta obbligata, dovuta a motivi contingenti o di convenienza. Andate alle radici. E come studiate il modo di scomporre e ricomporre la vostra arma individuale per potervi anche difendere meglio è altresì un vostro preciso dovere morale conoscere a fondo lo spirito che ha animato generazioni di Alpini, figli delle nostre montagne, innamorati della vita e delle tradizioni della loro Gente e delle loro contrade.

    Per quello Spirito Essi hanno dato ogni loro avere: la giovinezza, gli affetti più semplici, più cari, più teneri, più dolci. Ed hanno tracciato la via che a noi è dato seguire, senza esitazione. Non dimenticate dunque: i vostri avi sono i nostri avi, ma noi dobbiamo essere degni di loro. I nostri Padri non si sono risparmiati: sta in noi non deluderli. In questo modo senza indulgere alla retorica e come ebbe a scrivere don Luigi Sbaragli del Battaglione 7 Comuni’, essi vivono e vivranno sempre sepolti nei nostri cuori .

    Don Rino Massella, cappellano della sezione di Verona, celebra la S. Messa. Comincia a piovere. Ma gli alpini pazienti attendono la fine della celebrazione e lasciano il sacro suolo dell’Ortigara solo dopo che il Labaro è uscito dallo schieramento con i dovuti onori. Anch’io scendo a valle. Sotto una pioggia a tratti violenta. Non mi importa: l’acqua evapora. Lo Spirito dell’Ortigara no!

    Cesare Lavizzari