Alpini e “contro”

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    Un diluvio. E non solo di pioggia. Un diluvio ininterrotto di affetto, condivisione, entusiasmo. Lo abbiamo ricevuto in Adunata a Udine: dimostrazione della considerazione e dei sentimenti che la gente nutre verso gli alpini, specie in territori come il Friuli, che hanno toccato con mano cosa significhi e come si dipani l’agire delle penne nere. Un’iniezione di entusiasmo, corroborata dalla sfilata di centinaia di sindaci, testimoni della solidità del legame tra alpini e territorio: un ricostituente, dopo gli anni della pandemia e le polemiche strumentalmente scatenate dopo Rimini.

    Sappiamo tutti, lo han confermato le autorità, che a Rimini non sono accaduti episodi di violenza, né tantomeno atti penalmente rilevanti. Ma il problema delle molestie, intese come approcci verbali e gestuali volgari e fastidiosi nei confronti di chiunque e delle donne in particolare, esiste: ma non è un problema “degli alpini” come parte dell’informazione ha ripetutamente sottolineato. È un problema culturale, di educazione, che riguarda chiunque, a prescindere dal cappello che si ha o no in testa: gli alpini, quelli “veri”, che si riconoscono nei valori di solidarietà e fratellanza che la nostra Associazione porta avanti da 103 anni non hanno bisogno di “lezioni”, anzi sanno essere sempre e dovunque d’esempio. Ma l’Ana non poteva accettare che passasse l’equazione alpino=molestia e ha promosso l’iniziativa culturale #controlemolestie, per fare chiarezza.

    Qualcuno, anche tra noi, ha ritenuto che fosse un'”ammissione di colpa”: in realtà è stata una dimostrazione di forza, morale e culturale. Gli alpini si impegnano sempre a favore di chi è debole o in stato di bisogno: e non hanno difficoltà a farlo, attraverso l’esempio, anche in difesa di chi ha diritto di andare per strada senza essere importunato da chi non conosce. A cominciare dalle donne.

    Impegno che ci è stato riconosciuto anche dalla Commissione pari opportunità della Regione Friuli Venezia Giulia, le cui rappresentanti hanno siglato con noi una lettera di intenti e hanno sfilato con uno striscione che le accomuna agli alpini contro la violenza di genere. E anche larga parte del mondo dell’informazione ha affrontato con approccio diverso, oggettivo, la questione, rifuggendo sensazionalismi e titoli strumentali.

    Ma c’è una sorta di “zoccolo duro”, largamente minoritario, che insiste con la campagna “contro” gli alpini, affiggendo sui lampioni adesivi col logo dell’Ana e la scritta “Assassini stupratori” o col gen. Figliuolo inquadrato in un mirino per la “caccia all’alpino” (tre giovani sono state identificate, denunciate e saranno querelate) o facendo in Adunata domande sulle donne, costruite (e montate, scegliendo le risposte “peggiori”) in modo che l’intervistato non facesse una gran figura.

    Non è una novità: in Italia, in cui la “cultura della Difesa” è cosa rara, il concetto di “militare” è spesso usato in accezione negativa; si cita l’art. 11 della Costituzione secondo cui il Paese “ripudia la guerra come soluzione delle controversie internazionali”, ma si glissa sul 52 per cui “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”; e si scrive che la leva è stata “abolita”, mentre è stata “sospesa” (per non modificare la Costituzione). Probabilmente l’Ana, che accomuna chi vi aderisce proprio perché nei suoi valori si riconosce a qualcuno dà un po’ fastidio: troppo amata? Considerata? Rispettata?

    Invece di chiedersi perché, preferiscono cercare di infangarla, per fortuna senza troppo seguito. Godiamo di un immenso consenso, che aumenta ogni volta, come ora in Emilia Romagna, in cui interveniamo per portare soccorso. Non serve, in primo luogo a noi, polemizzare specie sui social network: finiamo, pur indignati in buona fede, per fare da cassa di risonanza a chi ci scredita.

    Massimo Cortesi