Albania, le orme degli alpini

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    “Arrivati a Durazzo, sbarcammo e subito partimmo in direzione di Elbassan e Berat…”. Così scrive, nel suo diario mio padre Matteo, alpino della Cuneense inviato in Albania nell’autunno 1940. Percorse a piedi 100 km con le salmerie diretto alle montagne che separavano l’Albania dalla Grecia. In linea si trovava già suo fratello, artigliere alpino del gruppo Mondovì, attestato sulle pendici del Monte Tomori. La notte di Natale del 1940 al rientro di una consegna di materiali alla prima linea sul Monte Brich Vi Mat, la sua mula Scalina affondò nel fango e nel tentare di farla uscire perse il contatto coi compagni e smarrì la strada del ritorno. Quando rientrò il giorno di Natale rischiò di essere considerato disertore. Erano anni che volevo ripercorrere le stesse strade. La geografia è cambiata con case nuove e strade asfaltate, ma non più di tanto. Sono arrivato a Tepelene, cittadina sul fiume Vojussa, dove esistono ancora resti di casermette italiane e si ha una bella vista sul fiume e sul Monte Golico “il calvario degli alpini”. Qui c’è stato Beppe Borello di Borgaro, alpino del btg. Susa, Medaglia d’argento, che cadde sulle pietraie del Golico il 28 febbraio 1941. Attraversato il ponte Dragoti teatro di combattimenti, ho risalito per 70 km la Vojussa, che il canto racconta “…col sangue degli alpini s’è fatta rossa”. Non facile da trovare il ponte di Perati immerso nella vegetazione, che separa l’Albania dalla Grecia. Mi sono avvicinato con un groppo in gola a quella spalletta del ponte. Un silenzio solo rotto dallo scorrere dell’acqua: ci sono posti “dove il silenzio fa rumore”. Non basta leggere per ricordare, sui posti bisogna andare e sentirne la consapevolezza. Il mio pensiero è andato a tutti gli alpini Caduti, a mio padre che dall’Albania è tornato per essere poi mandato con la sua mula in Russia dove è rimasta e lui ha attraversato l’Ucraina in ritirata. Un altro pensiero è stato per Beppe Borello, a cui è intitolata la sede del Gruppo di Borgaro, che ora riposa a Bari al sacrario dei Caduti d’oltremare. Dal ponte ho lasciato cadere nel fiume un ramo di ulivo in ricordo e come segno di pace.

    Beppe Marabotto

    Caro Beppe, un racconto (sintetizzato per ragioni di spazio) che non ha bisogno di sottolineature. Traspaiono commozione e sentimenti puri e genuini. Una dimostrazione concreta e affettuosa di che cosa significhi fare memoria.