Ai margini della grande storia cappelli alpini in ogni angolo del mondo

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    Ambe africane, sabbie della Libia, nevi dell’Adamello, balze dell’ Ortigara, monti della Grecia, steppe della Russia: una letteratura poderosa e meritoria sui momenti grandi e le sventure del nostro simbolo più caro. Ma quanti si sono fermati anche sulle note a piè pagina ? Chi ricorda, ad esempio, la figura del ten. col. Tommaso Salsa, unico alpino fra gli artiglieri del Corpo di spedizione europeo, antesignano delle odierne Missioni di pace , inviato in Cina nel 1900 a sedare la rivolta dei Boxers? E non è forse impallidita la memoria di quel singolare personaggio che fu il capitano di artiglieria da montagna Vittorio Bottego, intrepido esploratore dell’Africa Orientale, trucidato dagli abissini tre anni prima?

    Portava ancora il chepì col fregio a bocche da fuoco incrociate: si dovette attendere il 1910 per vedere adottato da tutte le Truppe di montagna quel cappello di feltro a falda posteriore rialzata , da un secolo nostro geloso patrimonio… nonostante la concorrenza. Non tardò ad impadronirsene Gabriele D’Annunzio, il battitore libero della prima guerra mondiale, libero soprattutto nella scelta delle uniformi: cavaliere dei Lancieri di Novara, aviatore dei voli su Trieste e Vienna, marinaio su MAS nella Beffa di Buccari e alpino dal cappello a larga tesa (utile anche a ricoprire una… precoce pelata) durante l’occupazione di Fiume.

    Appendeva intanto il cappello al chiodo il ferrarese Italo Balbo, volontario e aspirante ufficiale dell’8º alpini, subalterno al Val Fella , al Monte Antelao e al Pieve di Cadore , poi co fondatore e direttore de L’Alpino , allora settimanale. Dopo la marcia su Roma iniziava l’ascesa che l’avrebbe portato ai vertici dell’Aeronautica Militare e alla gloria delle Crociere Atlantiche. Negli ultimi mesi del conflitto gli emigrati dell’Italia proletaria avevano applaudito a New York la sfilata degli alpini lungo la Quinta Strada: ora vedevano trionfalmente ammarare sulle acque del nuovo mondo la perfetta formazione degli idrovolanti italiani.

    A Chicago la penna nera di Balbo si moltiplicò a dismisura nel fastoso copricapo di penne variopinte con cui fu eletto Grande Aquila Volante con motu proprio del gran capo Sioux. Era ancora viva in Italia l’impressione destata dalle vicende della spedizione polare del generale Nobile. A La Spezia sette alpini sciatori e un montagnino si erano imbarcati per l’Artico alla ricerca dei superstiti del dirigibile Italia . Ci avevano vestiti da marinai e fotografati, ma prima di salpare facemmo capire che o ci davano le nostre divise da alpini o saremmo scesi a terra .

    Gli alpini mediterranei , agli ordini del capitano Sora, bergamasco dell’Edolo, riscossero l’ammirazione degli stessi scandinavi: in loro onore fu battezzata Alpinya un’ isoletta del Circolo polare. Balbo era stato nel frattempo nominato Governatore della Libia e nel 1935 accolse a Tripoli con polenta e tocio i duemila partecipanti all’Adunata Nazionale ANA, salutandoli poi alla partenza agitando il suo cappellaccio sformato. Nel 1940 precipitò con l’aereo nel cielo di Tobruch, dove due anni dopo si concludeva il ripiegamento dei combattenti italiani di El Alamein, agli ordini del ten. col. del Genio alpino Paolo Caccia Dominioni, il quale vivrà poi per dieci anni in pieno deserto, proteggendosi dal clima torrido col suo vecchio cappello, per realizzare il Sacrario della Redipuglia africana .

    Volontario come Balbo nella grande guerra e sottotenente di complemento, Curzio Malaparte, scrittore e giornalista, lo superò nell’uso disinvolto dell’uniforme. Nel 1940 fu arruolato nel 5º Alpini col grado di capitano, ma chiese e ottenne l’esonero come corrispondente di guerra militarizzato. Io sono nato per scrivere belle pagine, non per morire in battaglia . Conserverà però gelosamente uniforme e cappello. Sporadici i contatti con gli alpini sul fronte russo: Questi soldati non torneranno più in Italia: finiranno qui, come le Truppe di Napoleone . Sarà facile profeta. Fra di essi c’era il tenente Giovanni Brevi, cappellano del 9º Alpini.

    Catturato nel ’43 a Rossosch, per undici terribili anni passò indomito per 36 campi di concentramento, esercitando, come nelle catacombe dei primi cristiani, la sua missione religiosa e umana. Piccolo di statura, ridotto a pelle e ossa, nonostante un vitto di pura sopravvivenza non esitò mai a mettere in atto scioperi della fame a ripetizione, per difendere i più elementari diritti umani dei prigionieri, di qualsiasi fede e nazionalità. Rivide la sua terra nel gennaio del 1954: cappello ammaccato, viso affilato, lunga barba, croce rossa sul petto, fu accolto alla stazione ferroviaria di Tarvisio dalla fanfara della sua Julia e dal picchetto dei nuovi alpini, fissi e commossi sul presentat’arm.

    Erano invece riusciti a fuggire da un campo di internamento inglese in Kenya cinque ufficiali italiani. Evadere non era difficile (non esisteva filo spinato), ma il paese neutrale più vicino era il Mozambico portoghese, distante tremila chilometri. Li guidava il tenente degli alpini Giovanni Corsini, fiorentino, perfetto conoscitore della lingua inglese. Aveva sacrificato il suo cappello alpino a favore di un sombrero coloniale alla boera e indossata un’uniforme abilmente sottratta a piccole riprese dal magazzino.

    Uscito dal campo a bordo di un autocarro, il concittadino di Dante era diventato il capitano di Sua Maestà britannica G.A. Dixon, incaricato di una missione in Rhodesia, accompagnato da quattro internati italiani richiesti come operai specializzati, in possesso di regolare documentazione. Il gioco a rimpiattino nella savana durò oltre un mese senza un filo di noia su scenario continuamente cangiante: pattuglie inglesi, guardie indigene, guerrieri Masai, un rinoceronte infuriato, nuclei della Military Police, un paio di carri armati e un… miraggio reale: un artigliere di montagna con tanto di cappello, capo cantiere di distretto, che consegna due ruote di scorta, due barili di carburante e… viveri da viaggio.

    Finale pirotenico: superata lentamente la sbarra confinaria con la Rhodesia sollevata dalla sentinella, l’autocarro accelera bruscamente e sterza a destra sulla libera strada del Mozambico: suona l’allarme, ma gli evasi sono ormai in territorio portoghese. Saranno complimentati a denti stretti dagli inglesi, giunti a riprendersi l’autocarro, dal serbatoio… ben zuccherato: dovranno rimorchiarlo. 3 agosto 1954.

    Il pope Brevi era da poco rientrato dalla prigionia quando da Karachi, Pakistan, un altro piccolo grande personaggio, destinato a vivere in tre secoli diversi, Ardito Desio, trasmetteva in Italia la notizia dell’avvenuta conquista del K2 da parte della spedizione da lui diretta. Durante la permanenza in Karakorum si era dotato di un cappello alpino personalizzato, a ricordo del periodo trascorso all’ 8º Alpini con Italo Balbo, al quale poi, come geologo, aveva scavato sabbia sotto i piedi in Libia, traendone campioni di petrolio (che Gheddafi sfrutterà).

    Quando l’annuncio della vittoria sulla seconda vetta del mondo varcò il portone di Montecitorio, il Parlamento, mai più come allora unanime, proruppe in un lungo applauso. Dalla banchisa artica al continente di ghiaccio: mezzo secolo dopo l’avventura delle penne nere di Sora sbarcano in Antartide i nostri specialisti della montagna, osservati con curiosità da tribù di eleganti e dondolanti pinguini mentre addestrano, guidano e forniscono cornice di sicurezza agli scienziati della base antartica italiana.

    Sul vicino continente australiano a mantenere alta la penna ci han già pensato le operose sezioni ANA degli antipodi. Quando suona la tromba dell’Adunata Nazionale, cappello, gagliardetto…
    e via!

    Umberto Pelazza