Mi riferisco alla lettera “Prigionieri dell’Unità d’Italia” del socio Vittorio Biondi, apparsa nel numero di ottobre de L’Alpino. La polemica sul comportamento dei piemontesi verso il Sud negli anni successivi all’Unità d’Italia ha un suo fondamento e ha trovato l’adesione di numerosi storici. Oltre ai nomi citati dall’amico, aggiungerei anche Lorenzo Del Boca in “Indietro Savoia”, che parla di deportazioni in varie aree del Nord (e vi inserisce anche il mio paese, San Benigno Canavese).
Ebbene, proprio un personaggio di San Benigno Canavese dimostra invece che nei piemontesi ci furono gesti di estrema solidarietà. Parlo del generale Vincenzo Robaudi (1819-1882), patriota, bersagliere, musico, benefattore, ministro con Cavour e responsabile della repressione del brigantaggio in Calabria tra il 1860-1863. In questa funzione rivelò la sua umanità quando, dopo l’uccisione di un ufficiale dell’esercito piemontese, riuscì ad arrestare il colpevole. Secondo la legge di guerra costui avrebbe dovuto essere fucilato. Ma supplicò un ultimo gesto di misericordia: poter andare a salutare la sua famiglia prima dell’esecuzione. Robaudi non solo gli concesse tale permesso… ma gli fece anche capire come avrebbe potuto poi dileguarsi in tutta libertà. Alcuni anni dopo il giovane ritornò per ringraziare chi lo aveva salvato e, manco a farlo apposta, si arruolò a sua volta tra i bersaglieri. Insomma, i veri soldati hanno sempre un’anima e non tutta la storia è fatta solo di cattiverie.
Marco Notario
La questione dell’Unità d’Italia fiorisce da un tronco con tante radici. Vi fu certamente la strategia di Cavour di occupare il regno collassato del Sud, altri fattori furono certamente casuali e non mancò neppure l’azione dell’intellighenzia di uomini del Sud che erano emigrati in Europa e nel Regno Sabaudo. Comunque sia la storia va esplorata nei suoi dettagli, ma ritengo che, dopo 156 anni, debbano finire certi umori vittimisti diffusi in quelle regioni. Certo, lo Stato unitario ha dato prova, soprattutto in certi momenti, di «scarsa sensibilità o aderenza ai bisogni della Sicilia e del Mezzogiorno». Ma, come ebbe a dire il Presidente Napolitano, le «critiche non possono essere accompagnate da reticenze e silenzi su quel che va corretto, anche profondamente, nel Mezzogiorno, sia nelle gestione dei poteri regionali e locali e nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche, sia negli atteggiamenti del settore privato, sia nel comportamento collettivo ». Il passato non può diventare il rifugio per nascondere le inadeguatezze del presente.