Caro Bruno, consentimi prima di tutto di chiamarti così, perché se ti dò del monsignore perdo tutta la spontaneità alpina che invece vorrei fosse la chiave di lettura principale di questa riflessione. La lettera di Aldo Lanfranchini, sezione Valsesiana (L’Alpino gennaio 2015 pag. 5) mi ha fatto riflettere.
Premesso che concordo con la tua risposta, è lecito chiedersi qual è la lingua adeguata per la nostra preghiera? Naturalmente, noi alpini siamo (prima di tutto, direi!) italiani, e quindi è naturale che la nostra preghiera sia in italiano; il fatto poi che in quanto italiani siamo anche naturalmente bilingui, nel senso che la maggior parte di noi appartiene anche ad una comunità linguistica dialettale – ed è una delle nostre ricchezze – non vuol dire che dovremmo declinarla in tutti i dialetti della penisola. Chiediamoci piuttosto: cos’è una preghiera? Fra tutte le forme di comunicazione, è la più originale, perché si rivolge a Qualcuno che non risponde, perlomeno non direttamente e non immediatamente; facendosi inoltre voce di un devoto, o di un’assemblea come nel nostro caso, impiega una forma rispettosamente solenne, a sottolineare l’elevatezza dei sentimenti. Richiede dunque una lingua che metta d’accordo tutti, per la comunanza di sentimenti appunto, non tanto per la mera comprensione del testo: alpino, uguale italiano. Ciò detto, ti confesso che con il permesso dell’allora consigliere nazionale delegato IFMS, ho tradotto la Preghiera in francese ed inglese. L’ho fatto con umiltà, direi quasi con devozione religiosa, cercando di allontanare da me ogni vanità esibizionistica e solo allo scopo di farla conoscere anche ai non italiani. Un fraterno abbraccio alpino.
Renato Traverso
Caro amico, grazie per queste tue sottolineature e grazie anche per la bella idea di tradurre la nostra Preghiera. Purtroppo lo spazio non mi consente di “importare” le due versioni, ma le tengo in memoria. Non si sa mai.