Rubrica aperta ai lettori.
RICORDATE IL MONTE GRAPPA!
Un anno fa, a Bassano, eravamo con l’ansia nel cuore e tanta speranza per l’81ª Adunata nazionale che velocemente si stava avvicinando. L’organizzazione stava iniziando a vivere momenti alquanto pesanti ed impegnativi, in certi momenti solo l’entusiasmo e la volontà alpina mi davano la forza per andare avanti nel difficile lavoro. Viabilità, posti medici avanzati, ospedale da campo, tribune, transenne, servizi igienici chimici e con allacciamento in fognatura, accampamenti attrezzati, alloggi collettivi, bus navetta, parcheggi, treni straordinari Poi è arrivato maggio; strade, case, palazzi imbandierati anche a chilometri di distanza, un clima che si stava via via riscaldando. Venerdì 9 maggio, alzabandiera e quindi partenza per Cima Grappa, il cuore sale a mille. Novant’anni sono trascorsi da quei tragici eventi e noi alpini dovevamo, con il nostro Labaro e il nostro Presidente nazionale, rendere grazie e giustizia agli eroi. Una folla numerosa, tanti gonfaloni, vessilli, gagliardetti e autorità. Inizia la cerimonia: un gran silenzio, Inno Nazionale, il Piave, gli Onori ai Caduti, la tromba suona un Silenzio d’ordinanza , da brividi. Si scende, c’è poco tempo, dobbiamo accogliere la Bandiera di Guerra del 7º Reggimento Alpini, un simbolo . Schieramento in Viale delle Fosse, onori militari e poi si parte per transitare sul nostro ponte: sul ponte degli alpini; arriva la Bandiera di Guerra, passa davanti alla Taverna, sede della sezione ANA, imbocca il ponte, da quell’istante è ufficiale per sempre: è il Ponte simbolo di tutti gli alpini del mondo. Il sabato mattina dedicato a problemi logistici mentre quasi tutti fanno festa, si incontrano e ricordano i bei tempi , magari davanti a un bicchiere di buon vino, della naia vissuta. Nel pomeriggio, la tradizionale Santa Messa per ricordare tutti gli alpini andati avanti , al Tempio Ossario bassanese. Anche qui il cuore ha avuto la sua dose di adrenalina quando il presidentissimo Bortolo Busnardo, con occhi lucidi e voce roca dall’emozione, ha recitato la Preghiera dell’alpino . Arriva la domenica: si parte. Quante persone appoggiate alle transenne ad applaudire, la fanfara suona il 33 , l’entusiasmo sale; la sfilata arriva in viale delle Fosse, migliaia di persone acclamanti ci accolgono, gridano i nomi, chiedono un cenno di saluto; gli occhi brillano, il cuore si gonfia, tutto è così bello, quasi incredibile. Sta arrivando l’imbrunire, siamo in ritardo di tre ore sul programma e il fiume umano continua a scorrere ma nessuno si muove nè dalle tribune nè dalle transenne, sono ancora tutti lì a guardare, ad applaudire, a essere alpini con noi. Parte per ultima la nostra Sezione, la Monte Grappa , Banda sezionale e Vessillo in testa, ed è un’apoteosi; sulle transenne le persone sono aumentate, ci fanno festa, ci salutano, ci ringraziano, ci fanno sentire il loro cuore Grazie. È sera, le nove, siamo all’Ammainabandiera, Inno Nazionale; le tre bandiere scendono dai pennoni in una suggestiva immagine. Dio, è già finita, quasi non ce ne siamo accorti.
Paolo Casagrande Romano d’Ezzelino (VI)
GIOVANI FIGLI DEGLI ALPINI ALL’ESTERO
Se ripeschiamo nel passato per capire cosa ci sia accaduto, ci troviamo a ricordare inevitabilmente come e perchè siamo arrivati nelle Nazioni che oggi ci ospitano. Erano tempi particolarmente difficili per noi italiani, i problemi iniziavano già ben prima della partenza dall’Italia. C’era il bisogno di scaricare le ansie causate dalla mancanza di un futuro dignitoso in Patria, pertanto non aveva importanza, o comunque ne aveva poca, sapere dove andare, l’importante era partire e risolvere. Per far questo era indispensabile interpretare i vari problemi burocratici, preparare documenti, sottoporsi a visite, che richiedevano tempi lunghi e sacrifici economici. Quando, poi, tutto sembrava risolto, si partiva e si arrivava transitando dalle varie dogane dei paesi prescelti, e lì altri problemi e umiliazioni, visite mediche organizzate in capannoni dove uomini e donne erano considerati semplicemente numeri senza nessuna differenza, dove semplicemente alzare scherzosamente la voce creava problemi. Finalmente arrivavi a destinazione, e lì, ad essere giusti, dopo un breve periodo di assestamento, cominciavi a vedere uno spiraglio di luce.Tu lavoravi e ricevevi un giusto stipendio che ti consentiva di pensare a un futuro un po’ più roseo. Cominciavi a simpatizzare con la popolazione locale e ricevevi per contro, e dopo che avevano capito chi eri e cosa sapevi fare, rispetto e, più avanti, molto più avanti, ammirazione.
Sono trascorsi tanti anni, sono successe tante cose, buone e meno buone, che sarebbe troppo lungo raccontare, anche perchè ben risapute. Gli aitanti giovanotti di allora sono maturati, hanno costruito le proprie famiglie, hanno avuto figli, sono invecchiati. E proprio per questo quando i ricordi vengono perentoriamente a galla alcuni fanno il grande passo e ritornano in Italia, altri provano ad andarci ma dopo un po’ li ritroviamo ancora all’estero con lo sguardo assente di chi non vede o non vuole vedere la realtà e si pongono in lista d’attesa per l’ ultimo viaggio. Ebbene, per fortuna, ci sono anche e sono la maggioranza, quelli che sono riusciti ad integrarsi completamente e con rispettive famiglie vivono la presenza all’estero con tranquillità. E veniamo al dunque. Questa imponente massa di figli, nipoti e pronipoti che nel frattempo è felicemente giunta a noi, rallegra l’esistenza di genitori, nonni e bisnonni, esibiti con grande orgoglio e soddisfazione, a giusta ragione, rimane però un’incognita circa l’anello di congiunzione con la nostra generazione e con quelle future. Chi siamo noi lo sappiamo, da dove veniamo anche, ma i nostri figli, ai quali abbiamo raccontato le nostre vicissitudini, chi sono?Da dove vengono? Domande che loro certamente prima o poi si pongono e ci pongono; e naturalmente noi dobbiamo rispondere, e per farlo con chiarezza dobbiamo raccontare delle nostre origini con orgoglio, dobbiamo dimostrare che l’anello che ci unisce alla nostra originaria cultura è ben saldo. Ecco allora che l’appartenenza a circoli o associazioni semplifica il nostro compito, perché, specialmente all’estero, tramite queste associazioni noi manteniamo vive le tradizioni, i dialetti, i comportamenti, la storia, e coinvolgendo i giovani nelle nostre vicende riusciamo a colloquiare con loro e coinvolgerli proprio in funzione di questo. Ecco perché sono importanti le nostre manifestazioni, le nostre feste popolari, i nostri raduni, soprattutto all’estero. Ecco perché i gemellaggi con gruppi in Italia ci consentono di organizzare visite reciproche e riallacciare e tenere ben vivi, con i gemellati, contatti indispensabili per darci modo di parlare, ricordare, mantenere vive le nostre splendide tradizioni. E questo, appunto, coinvolgendo soprattutto i giovani. Certamente non possiamo fermare il trascorrere del tempo, ben sappiamo che i numeri ogni fine anno ci fanno sussultare ma teniamo duro, anche per questo la nostra Associazione, il nostro cappello, sono invidiati da tanti, sopratutto all’estero, perchè val bene il nostro motto oramai universale: Tasi e tira !!!! E così faremo, non solo per noi.
da La nostra baita periodico della sezione ANA Svizzera
GUARESCHI E LE PENNE NERE
Al di là del fatto culturale e della sensibilità degli animatori del Portello Sile nei confronti di manifestazioni artistiche, letterarie, religiose, sociali, per cui Tutto il Mondo di Guareschi rientra a pieno titolo nel quadro, che cosa può
; unire Giovannino, ufficiale di artiglieria, internato militare nei lager nazisti, alla realtà scarpona?Intanto, direi il carattere: forti e capaci di sacrifici inenarrabili, pazienti nella sofferenza, mai dome nello spirito, le Penne Nere; e ugualmente lui, Giovannino, nelle esperienze di una vita breve ma intensamente vissuta. Ancora: l’ammirazione del Nostro per il Corpo degli Alpini e l’amicizia con alcuni di questi militari che gli furono compagni di lager: il mitico pittore e illustratore Novello, capitano, Campagna di Russia prima, ritirata poi, lager nazista alla fine; e il non ancora (allora) famoso avvocato penalista Odoardo Ascari, modenese, pure accomunato a Novello dalla campagna di Russia e con lui e con Guareschi dall’internamento nei lager. Ultimo, ma non ultimo, penso opportuno segnalare che il figlio di Giovannino, Alberto, classe 1940, è stato ufficiale di artiglieria alpina (o da montagna che dir si voglia) in Alto Adige Ecco, allora, che penso spiegabile, comprensibile questo rapporto. D’altro canto, fra gli alpini ci sono stati e ci sono tuttora dei grandi Italiani e Giovannino Guareschi, ancorché non alpino, è stato e resterà nella storia come un grande italiano: uomo libero, sempre, animato da una sconfinata fede sino alla fine dei suoi giorni!
Giovanni Lugaresi Cusignana di Giavera del Montello (Treviso)