Molte storie di santi e sante ci sono giunte, oltre che da documentazione letteraria, dalla tradizione popolare e orale, spesso con l’aggiunta di elementi di fede e, talvolta, perfino di fantasia. Resta l’indiscussa venerazione tramandata nel tempo, con la conseguente dedicazione di chiese, cappelle e rappresentazioni del santo o della santa in affreschi, dipinti e santini di varie epoche che si rifanno tutti, con sfoggio di grande immaginazione, al periodo della vita o del martirio dei venerati.
Non sfugge a questa regola sant’Alessandro, patrono della città di Bergamo. E non perché manchino elementi biografici coevi, quanto invece perché, essendo tardivi al periodo della sua morte, sono legati a scritture apografe, cioè copie di originali andati perduti in particolar modo durante la persecuzione di Diocleziano, che ordinò la distruzione degli archivi ecclesiastici.
L’uso liturgico delle testimonianze tramandate oralmente venne ripreso da papa Adriano I (772 795). E con inequivocabile fondamento per quanto riguarda sant’Alessandro: infatti, quattro secoli prima ad Agaunum, l’attuale Saint Maurice, nel Vallese, Teodoro (o Teodulo), vescovo di Octodurum, l’attuale Martigny, morto nel 381, individuò il luogo di sepoltura dei martiri Maurizio (assunto nel giugno 1941 a protettore del Corpo degli Alpini da papa Pio XII), Esuperio, Candido e Vittore ed eresse una basilica la cui pianta è stata portata alla luce nel corso di scavi condotti dal 1990 al 1993 sotto la chiesa parrocchiale di Martigny, unitamente a resti romani del II e III secolo e paleocristiani del V secolo.
Fu Eucherio, vescovo di Lione dal 432 al 450, a colmare il vuoto storiografico con la sua Passio martyrum Acaunensium, la passione dei martiri acaunensi, un’opera scritta sulla base delle informazioni fornitegli dal vescovo di Sion, Teodoro, e dal vescovo di Ginevra, Isacco. È il più antico documento sul martirio della Legione Tebea guidata da Maurizio del quale Alessandro, secondo Il grande libro dei santi (Vol. I, 1998), era il primipilarius sanctae legionis, il primo centurione (della santa legione Tebea), ovvero il capo della prima centuria e di tutti i centurioni, secondo solo a Maurizio. C’è di più. Già dal IV secolo c’è testimonianza della devozione dei bergamaschi con la costruzione di una chiesa dedicata al martire, fuori dalla cinta muraria dove esisteva una necropoli del municipium romano.
Alessandro, patrono di Bergamo, è dunque senza alcun dubbio un martire cristiano della Legione Tebea. Per dovere di cronaca riportiamo anche le fantasiose teorie di alcuni storici che hanno tentato una agiografia in versione molto ideologica, o identificando il santo con uno dei tre martiri Sisinio, Martirio e, appunto, Alessandro, inviati a canonizzare l’Anaunia (oggi Val di Non) dal vescovo di Trento Vigilio; o addirittura, (come lo storico svizzero Denis Van Bercham e l’inglese David Woods, dell’University College Cork), mettendo in dubbio l’esistenza stessa del martirio della legione Tebea e soprattutto i fatti storici riferibili a sant’Alessandro, definiti pura fantasia .
Ma torniamo alla storia vera. La Tebea (o tebana) era considerata una legione invincibile. Per questo venne spostata da Marco Aurelio Massimiano dalla Tebaide, in Egitto, nelle Alpi, per arginare le incursioni delle tribù celtiche nelle Gallie. Le legioni romane, sotto il comando di Massimiano stesso, che con Diocleziano condivideva il titolo di imperatore, giunsero a Octodurum per fronteggiare le tribù nemiche. Prima della battaglia, com’era uso dei romani, Massimiano ordinò un sacrificio agli dei. Ma la legione tebana, formata da 6.600 soldati e quasi tutta cristianizzata, si rifiutò: venne allora decimata una prima volta, poi una seconda e una terza; infine l’imperatore ordinò di decapitare anche i superstiti. Pochi scamparono, fra costoro anche Alessandro, vessillifero della Legione (viene infatti raffigurato con lo stendardo bianco, crociato).
Secondo la sua Passio (BHL, Bibliotheca Hagiographica Latina 275 276 277), Alessandro si rifugiò a Milano, dove però venne riconosciuto ed imprigionato. Essendo Massimiano arrivato in questa città, lo convocò imponendogli ancora una volta di sacrificare agli dei, ma Alessandro rovesciò l’ara del sacrificio. La leggenda racconta che fu condannato a morte ma che la condanna non venne eseguita perché il martire appariva ai carcerieri grande come una montagna . Rimesso in carcere, fuggì nuovamente, passò l’Adda e si rifugiò nei boschi, vicino a Bergamo. Poi continuò ad esercitare e a predicare la sua fede, tanto da farsi riconoscere dalla guardia imperiale.
Al Vico Pretorio, dov’era stato condotto, ai piedi una statua di Plotacio era stata allestita un’ara per il sacrificio, o per l’esecuzione della condanna a morte. Alessandro domandò dell’acqua, si lavò le mani, si raccolse in preghiera, poi si scoprì il collo e lo offrì al carnefice, che lo decapitò. Era il 26 agosto 298 (o del 305). Nei giorni seguenti la nobildonna Grata, trovò il corpo e lo fece seppellire in un giardino.
La leggenda dice che sul terreno macchiato dal sangue del martire spuntarono dei gigli bianchi. Leggenda, dunque. Ma è storia vera la devozione dei bergamaschi e la diffusione della fede cristiana in quel territorio, una devozione che fece sorgere chiese dedicate al martire un po’ dappertutto. Oltre alla chiesa costruita nel IV secolo della quale abbiamo detto, una cui colonna è piantata all’inizio di Borgo Canale a indicare il luogo dell’antica basilica demolita nel 1561 con conseguente traslazione del corpo a Roma, va menzionata sant’Alessandro in Colonna (nel luogo del martirio) e sant’Alessandro della Croce, entrambe documentate intorno al 1180; ed infine la chiesa della sant’Alessandro trans Murgulam , o dei Cappuccini, eretta sul luogo della cattura del martire fatta risalire al tempo di Carlo Magno.
Come non ricordare infine che al santo, usanza che risale all’alto Medio Evo, è legata una fiera, documentata dal X secolo, che cade nello stesso giorno della celebrazione canonica dedicata al santo: il 26 agosto. Un’ultima annotazione. L’urna contenente la reliquie di sant’Alessandro si trova nella cappella gentilizia del castello dei duchi di Pescolanciano, in provincia di Isernia. Il corpo è ricomposto nelle vesti di cavaliere ed è adagiato su cuscini di velluto cremisi. Sopra l’urna è posto un dipinto del pittore tardo barocco Francesco Solimena raffigurante una scena del martirio.
Fu il duca Pasquale Maria d’Alessandro, nel 1787, a richiedere le reliquie del Santo al quale era molto devoto perché gli rievocava il nome del casato. Una bolla di papa Leone XII autorizzò questa traslazione e da allora l’urna è conservata nello splendido castello ormai disabitato, più volte danneggiato dai ricorrenti terremoti, altrettante volte ristrutturato, cappella gentilizia compresa. Che ci voglia un’altra bolla per restituire sant’Alessandro ai bergamaschi?
Giangaspare Basile
Pubblicato sul numero di aprile 2010 de L’Alpino.