Sul Pasubio, capolinea degli Eroi

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Pasubio, domenica 4 settembre: dalla Strada degli Eroi e dalla Strada delle Gallerie salgono le penne nere. Il silenzio è rotto solo dallo scalpiccio degli scarponi sulla roccia che accompagna gli alpini fin sulla cima. Per chi arriva dalle Gallerie, dal Passo Fontana d’Oro si scorge qualche fuoristrada salire dagli Scarubbi; ma dall’alto, di quei motori, si percepisce poco o nulla.

Il palcoscenico offre un paesaggio tormentato; forse non ci sono altri luoghi come le vette del Pasubio a richiamare le immagini della guerra in montagna. E le cose aggiunte, perfino la moltitudine di tricolori che oggi ballano al vento sotto il cielo plumbeo, appaiono in sovrappiù. Monte Corno Battisti, il Dente Italiano, il Dente Austriaco, i Roccioni della Lora, Cima Palon, il Battaglione Monte Berico, il generale Pecori Giraldi: sono alcuni dei nomi lontani che riecheggiano a ogni passo.

Ieri gli alpini erano all’Ossario e al Dente Italiano (quota 2.220) e Austriaco (2.217); oggi sono in silenzio davanti alla tomba di Vittorio Emanuele Rossi, che comandò sul Pasubio il btg. Monte Berico e che volle essere sepolto con i suoi soldati. Salire su questa montagna nel 2011, dove tra il 1916 e il 1918 soldati italiani e austriaci furono attori inconsapevoli di un dramma più grande, non è più una tradizione associativa ma un pellegrinaggio.

Sono presenti poco oltre seicento alpini, un piccolo gruppo di autorità civili, il maresciallo Fiumara del 2° Artiglieria da Montagna “Vicenza” e il capitano Dal Moro del Genio Guastatori della Julia. Dice il presidente della sezione di Vicenza Giuseppe Galvanin: “Stare qui significa essere in un luogo sacro della memoria. Nessuno di voi era obbligato a venirci: la vostra presenza è un tributo alla Storia e ai soldati che hanno contribuito a scriverla. E al ricordo dei giovani di ieri si unisce un pensiero agli alpini di oggi impegnati in Afghanistan”.

Ci sono 106 gagliardetti e 11 vessilli inquadrati davanti alla cappella votiva di Santa Maria; ci sono Valentino Fabrello e Gianfranco Borgo: due alpini che proprio cinquant’anni fa contribuirono a erigere la chiesetta. E c’è suor Teresina, che fu assistente di don Francesco Galloni, cioè colui che più di tutti volle il tempio sul Pasubio. Ieri loro, oggi i giovani alpini che lavorano negli stessi luoghi per la conservazione dei manufatti della guerra: la storia, c’insegnano, si ripete sempre.

Quando l’ufficialità finisce, il silenzio si riappropria della montagna mentre i pellegrini scendono a valle; e sono in pochi quelli che rincasando non si voltano indietro almeno una volta.

Federico Murzio

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