Rileggiamo la Grande Guerra è il titolo d’un ciclo triennale di convegni organizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia per il novantesimo anniversario di Caporetto. Una ricorrenza che ha riscontro anche su tanti giornali ed è occasione di commemorazioni, tema di convegni, materia di studi. É la prima volta che la storia viene rimessa in discussione per essere ricostruita con profonde analisi dei fatti, senza preconcetti che ne sviliscano la verità.
Caporetto non è avvenuto per il cedimento dei nostri soldati, il cui eroismo era riconosciuto dagli stessi avversari (anche se gli alti comandi ordinarono pesanti punizioni dei reparti, processi sommari e fucilazioni) ma per l’enorme superiorità degli avversari in armamenti, logistica e soprattutto strategia, fattori che fecero inesorabilmente la differenza. Oggi tolti dagli archivi impolverati si leggono i diari degli ufficiali, i foglietti degli ordini che mandavano allo sbaraglio una dopo l’altra le nostre compagnie, si riconosce il senso del dovere di migliaia di giovani che pur sapendo che non sarebbero tornati da quell’assalto, obbedivano.
Si mettono a fuoco gli avvenimenti che portarono ad una guerra alla quale l’Italia non era preparata, sospinta oltre che dalle rivendicazioni territoriali, da movimenti politici e da intellettuali per i quali la guerra era inevitabile o semplicemente bella. È interessante l’analisi degli scritti a favore dell’intervento dei grandi intellettuali del tempo, come Ungaretti, Slataper, d’Annunzio, Prezzolini, Boine e soprattutto Marinetti ( La guerra, unica igiene del mondo ). Ciò che stupisce è scoprire che la pace non la voleva nessuno, in Italia e altrove, come se l’Europa fosse percorsa da una inarrestabile ondata di follia.
Chi sopravvisse al Carso, all’Altopiano, al Pasubio sconfesserà questi eroici furori, rivelerà il volto nefasto della guerra e, parafrasando Ungaretti, Dovrà scontare la morte vivendo, e sarà costretto a crescere . Ma era tardi per i pentimenti: isolato dal nuovo regime, cadrà nell’ombra.
Al loro ritorno, i reduci furono accusati di aver fatto la guerra e della vittoria mutilata : il clima di malcontento e soprattutto di incertezza sociale che si formò fu il terreno per il facile avvento del fascismo che portò, due decenni dopo, l’Italia nuovamente al fronte. Terminata anche questa seconda grande tragedia, ci furono interpretazioni ideologiche di altro tipo (i nostri soldati combatterono dalla parte sbagliata ) e una univoca lettura della guerra, che per sessant’anni e non è ancora finita è stata scritta dai vincitori.
Dimenticate le adunate oceaniche, i grandi e piccoli interessi di parte, il sacrificio dei nostri militari che pagarono con la vita il senso dell’onore iniziando loro, isolati, senza ordini, senza speranza quella che sarà poi chiamata Resistenza. Per troppo tempo è mancata la volontà d’una seria analisi, la rilettura degli avvenimenti, l’approfondimento dei fatti per affidarli poi senza sentenze di condanna o di assoluzione alla storia. E voltare pagina, come è avvenuto in Spagna, in Francia e soprattutto in Germania.
Le stesse ricorrenze storiche che celebriamo sono penalizzate da ideologia, tanto che quella più significativa, il 25 Aprile, sembra continuare ad essere un momento di separazione degli italiani anche in un tempo in cui problemi sociali premono e chiedono, soprattutto per i giovani, improcrastinabili risposte unitarie.
Ben vengano dunque i convegni sulla rilettura della Grande Guerra, vengano presto anche i convegni sulla rilettura della seconda, affinché quell’unità dello Stato per la quale tanti hanno combattuto e sono morti sia finalmente raggiunta e si possa guardare al domani con serena memoria ma altrettanto indispensabile fiducia.
(g.g.b.)