Risate, vita e musica

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    Chissà se quei due si rivedranno mai, se smaltito il ciclone di vino rosso e allegria le loro strade si incroceranno di nuovo. E sarebbe bello che fosse così perché quei due, lui veneto con il cappello con la penna portato sulle 23, lei parmigiana occhi di gatta e foulard tricolore a collo, visti abbracciati come succede di solito solo dentro i film, sono i simboli perfetti di una festa che si vorrebbe non finisse mai.

    Una festa dove tutto sembrava possibile, dove si incrociavano i dialetti e gli sguardi, dove si cantava e si beveva, dove rombavano apecar mimetici e un tir fatto a baita parcheggiato nella piazza centrale, a fianco della statua di Garibaldi. Che per qualche ora ha smesso la camicia rossa per calcare in testa un cappello con la penna. Questo, e molto altro, nella notti e nei giorni dell'adunata quando le strade e le piazze di Parma si sono riempite di centinaia di migliaia di persone. Alpini venuti da lontano e gente del posto, giovani e vecchi mescolati in una massa chiassosa e o­ndeggiante incisa, di tanto in tanto, da improbabili mezzi a motore alimentati, si intuiva dall'odore, da benzina agricola e barbera.

    E anche da qualche batticuore, come quando un coro piemontese, in una piazzetta defilata, nel cuore della notte, ha cominciato a cantare Signore delle cime e alla gente seduta intorno, anche a quelli che la montagna non l’hanno mai capita, è spuntato un luccicone. Giusto un attimo, l'adunata è una festa e così gli stessi coristi hanno fatto il giro con il bottiglione portato dal paese a versare vino fatto in casa, un rosso ruvido pestato dal nonno e che tiene su . Fino ad una nuova sosta e alla prossima canzone. E ad un altro brivido. Vissuto tra la gente di qui, che prima ha temuto l’adunata, poi se ne è innamorata e, infine, l’ha rimpianta, quando le penne nere sono andate via e la città si è ritrovata di colpo, incredibilmente, senza chiacchiere, risate, vita e musica.

    Musiche di ogni genere per facce di ogni tipo, i giovani con le magliette che raccontavano, senza giri di parole, la loro passione per le donne e i veci con la flanella e i calzettoni, le bancarelle con l’odore grasso di salsiccia e voglia di far festa mentre tutt’intorno c’erano le pennellate di colore delle bandiere. A colorare di tricolore una città che, forse titubante all’inizio nei suoi palazzi gialli come l’oro, da questo bagno di folla si è risvegliata infine forse un po’ stanca.

    Ma di certo molto più sorridente e felice. Come quei due che si abbracciavano: un’immagine tra le tante di una festa speciale che è ora bello ricordare come è bello ripensare a quel loro bacio: mentre poco più in la, una fanfara in mimetica da montagna marciando col passo pesante tra la folla suonava note da brivido.
    E il Piave sembrava avesse cambiato casa e fosse venuto a mormorare anche lui, proprio qui. (l.p.)