Perché la storia insegni

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Nei giorni scorsi abbiamo ricordato, nelle nostre Sezioni, il dramma della ritirata di Russia e il pedaggio di morte che hanno pagato gli alpini che si sono trovati in quello scenario. Ricordare è per noi un dovere morale, ma prima ancora è un dovere che abbiamo verso le nuove generazioni. Non tanto o non solo per informarle di ciò che è accaduto, ma soprattutto per educarle a frequentare la storia. Essa ci insegna che le vicende dolorose della guerra non sono mai incidenti di percorso. Sono piuttosto il frutto logico di fattori economici, sociali, culturali e politici, che si intrecciano tra loro creando barriere di ostilità e di inimicizia che finiscono per accendere le micce delle polveriere, ben rifornite in tempo di pace.

Soprattutto è importante vigilare sui segnali di demagogia populista, quella che va ad intercettare il mal di pancia della gente, per evitare che essa incanali il disagio dentro pericolosi percorsi senza ritorno. Le democrazie sanno regalare grandi scenari di libertà e di rispetto delle persone. Ma le democrazie hanno regalato e regalano anche delle grandi tirannie.

Basta solo che il manovratore sia scaltro. Di questi tempi, mentre l’Europa sembra vacillare sotto la spinta di una crisi economica endemica e sotto l’urto di spinte disgregatrici sempre più frequenti e da molte parti, forse sarebbe il caso di riscoprire il valore di quelle parole, che recitiamo nella nostra Preghiera, là dove si fa riferimento alla “nostra millenaria civiltà cristiana”. Cominciando a domandarci: cos’è Europa? Dove comincia, dove finisce? Perché la Russia lo è, ma non la Siberia, ad esempio? E nell’Atlantico, quali isole vi appartengono e quali no? È chiaro che il concetto di Europa solo secondariamente è geografico, primariamente esso è culturale e morale.

Fu a partire dall’VIII secolo, dopo che l’islam aveva conquistato il Mediterraneo del Sud, che Carlo Magno concepì l’idea di un Impero Romano Sacro, che aveva come fondamento la filosofia greca, come legge il diritto romano e come religione la fede cristiana. Questo impero, che si spinse pian piano sempre più a Nord divenne il cuore di quella che oggi chiamiamo Europa. A Oriente, l’impero romano che resistette a Bisanzio fino alla vittoria dei musulmani nel 1453, si era nel frattempo spinto verso i Paesi slavi portando la stessa cultura. Ed è a partire da quella data che la Russia, mettendo in piedi un nuovo patriarcato allargò definitivamente i confini della grande realtà culturale europea.

Oggi siamo qui a constatare che la dimensione spirituale dell’Europa è arrivata al capolinea. Da una parte, dalla religione si è decaduti al culto della tecnica, della nazione e del militarismo. In parole povere, nel secolarismo. Dall’altra c’è una «strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come un problema per il presente. Essi ci portano via qualcosa, si pensa. Essi non sono avvertiti come una speranza, ma come un limite» (Benedetto XVI). Come uscirne? Ci sono gli apocalittici che non vedono alcuna via d’uscita.

Come tutte le cose che hanno una conclusione, così pensano sia dell’Europa. Secondo questi, altri verranno e altre spiritualità daranno nuovo futuro. Ma ci sono anche coloro che pensano che la parola fine non sia l’ultima. Anche la rivoluzione francese tentò di spazzare via questa identità, ma alla fine fu essa stessa ad essere spazzata via. Saranno invece uomini di valore e realtà sociali dotate di una coscienza illuminata ad aiutare l’Europa ad attraversare i marosi di questo momento storico, salvandone l’identità culturale. Ecco perché gli alpini parlano di una millenaria civiltà cristiana da custodire e difendere. Pronti e disponibili a dire: presente!

Bruno Fasani