Il capitano Sora e i crimini che non commise

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Caro direttore, mi riferisco all’articolo di Gian Antonio Stella uscito sul Corriere della Sera di domenica 23 agosto dal titolo “La vera storia della Preghiera dell’Alpino” nel quale il giornalista oltre a raccontare la storia della “Preghiera dell’Alpino” racconta i crimini che sarebbero stati commessi in Etiopia, a Zeret, da parte del col. Sora, al comando del XX battaglione coloniale. Ricordo che il col. Gennaro Sora non solo partecipò alla leggendaria ricerca e salvataggio dei superstiti della spedizione del generale Umberto Nobile al Polo Nord nel maggio 1928 ma, durante la Prima Guerra Mondiale, combatté valorosamente alla testa dei suoi insuperabili alpini, con il grado di sottotenente, sui ghiacciai dell’Adamello e sulle creste del Tonale a fianco degli eroici fratelli Nino e Attilio Calvi, di Cesare Battisti e dei trentini Larcher e Mosna, guadagnandosi tre Medaglie d’Argento al Valore Militare e una promozione per eccezionali meriti dimostrati sulle alte cime dell’Adamello.

Riguardo all’autore della “Preghiera dell’Alpino”, posso affermare con certezza assoluta che è stata scritta dall’allora capitano Sora, comandante del battaglione alpini Edolo e spedita con lettera alla madre il 4 luglio 1935, oggi conservata nell’archivio di famiglia. La preghiera scritta di suo pugno su uno sgualcito foglio a quadretti, la inviò anche alla sorella Alessandra e al curato di San Michele. La preghiera chiudeva con la frase “Proteggi, o Signore, l’amato Sovrano e concedi sempre alle nostre armi, guidate da Augusta sapienza, il giusto premio della Vittoria”. La preghiera scritta per gli alpini del battaglione Edolo piacque e fu subito adottata da altri reparti alpini, subendo nel tempo alcune trasformazioni nel testo, come l’inserimento dell’invocazione rivolta alla Madonna, madre di Gesù Cristo. Luciano Viazzi, ufficiale di complemento all’8º reggimento alpini, stimato autore di alcuni interessanti libri sulla guerra 1915-1918 fra cui “Il capitano Sora l’eroico leggendario alpino” e apprezzato regista di documentari cinematografici sulla montagna, così commentò la “Preghiera dell’Alpino” del capitano Sora: «La preghiera è uno dei più belli e famosi componimenti poetici ispirati alla dura vita dei nostri soldati di montagna». Nel libro dedicato al capitano Sora, Viazzi presenta una interessantissima biografia della leggendaria vita del fiero ufficiale bergamasco. Il libro di Viazzi scritto nel 1969, in occasione del ventesimo anniversario della morte, è una pagina di storia rigorosamente documentata che suggerisco a tutti gli alpini di leggere. Riguardo alle operazioni di guerra in Africa Orientale, dal foglio matricolare dell’ufficiale risulta che il col. Sora venne inviato su quel teatro di operazioni il 26 settembre 1937 al comando del battaglione speciale Uork Amba (Monte d’Oro) composto da volontari provenienti da tutte le zone di reclutamento alpino, tutta gente di montagna di poche parole abituata alle fatiche e al sacrificio. Circa la partecipazione del col. Sora, al comando del XX battaglione coloniale, alle operazioni di rastrellamento a Zeret, sono convinto che il col. Sora, uomo di alte virtù morali e civili, rispettoso della vita umana e uomo di fede, non abbia potuto commettere quei crimini. Dalla documentazione conservata all’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito non risulta che Sora abbia ucciso e massacrato donne, vecchi e bambini durante il ciclo di operazioni di polizia coloniale dal gennaio all’aprile 1939. La mia convinzione è avvalorata da un importante libro scritto da Gian Paolo Rivolta dal titolo “La battaglia alla Grotta del ribelle di Zeret (Etiopia) nell’aprile 1939” dove l’autore, laureato in ingegneria chimica e speleologo esperto, fa chiarezza sulle accuse e i massacri rivolte al col. Sora e ai suoi soldati da alcune persone. Il libro del Rivolta è il frutto di puntuali e approfondite esplorazioni, rilievi e ricerche e studi condotti dall’autore alla “Grotta del ribelle”, ubicata a Zeret, vicino a un villaggio sperduto sull’Acrocoro Etiopico, a 2.600 metri di altitudine, dove Rivolta ha incontrato testimoni dei drammatici fatti di guerra accaduti nell’aprile del 1939. In questo libro viene evidenziato che fu il col. Lorenzini a impiegare il gas iprite, mediante un reparto speciale alle sue dipendenze, che causò la morte di decine di ribelli. L’autore ha accertato «che è priva di qualsiasi riscontro con la realtà ed è totalmente infondata l’ipotesi che i liberati non sopravvissero a lungo a causa dell’iprite. La prova di ciò, inconfutabile, è la testimonianza di chi è sopravvissuto a quegli avvenimenti». Il colonnello Sora è stato una prestigiosa figura di soldato e cittadino, incancellabile esempio di rettitudine morale, di elevato coraggio e di profonda fede accompagnata da una eccezionale carica umana. Durante tutta la sua vita militare ha sempre mantenuto una linea di condotta improntata al senso del dovere e dell’onore militare e all’amore verso la Patria. Lasciava l’Esercito nel dicembre 1949 con il seguente stato di servizio: quattro Medaglie d’Argento al Valor Militare, tre di Bronzo al Valor Militare, due Croci di Guerra, Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia e due promozioni per meriti eccezionali conseguite al comando dei suoi valorosi alpini.

Gen. B. Tullio Vidulich – Bolzano

Caro generale, grazie per queste precisazioni, che ci giungono dalla tua riconosciuta preparazione storica. Noi non siamo tra coloro che beatificano le persone per legittimare una preghiera, ma non ci accodiamo neppure a quanti buttano fango sulla memoria delle persone, per dimostrare la tesi opposta. Soprattutto in questo caso, dove una sola voce d’accusa non basta a seppellire le tante a favore del capitano Sora.