Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Penne nere a Gorazde


    Avete letto Centomila gavette di ghiaccio?Parla di uomini, di muli, di coraggio, freddo e sofferenza e alla fine di salvezza. Parla di alpini!
    In Kosovo, a Gorazdevac, sono mancati i muli, il freddo, e la sofferenza sta piano piano lasciando il posto ad una lenta rinascita. Quello che non mancato stata la solita penna nera. Molti ci hanno chiesto perch ci tenevamo tanto a disegnare il nostro cappello su tutto ci che riuscivamo a fare per risanare le ferite lasciate dalla guerra: se avessero letto il racconto di Bedeschi…
    Ci sono due pagine che parlano del cappello portato dagli uomini della leggenda (cosi l’autore chiam gli alpini), due pagine cos cariche e dense di ogni sentimento che ogni alpino che si senta tale non pu leggerle senza avvertire un brivido.
    Il cappello con la penna diventato il simbolo della forza e del coraggio capaci di sopraffare guerra e tormente. Sui muri di Gorazdevac, in ambulatorio, all’autolavaggio costruito dal gruppo Aosta, alla Base della Task Force, il cappello e la penna hanno assunto il significato della rinascita, del coraggio di ricominciare tutto da capo, di riprendere il sentiero dopo che la bufera si calmata.
    Molti dei nostri ragazzi, nei loro servizi hanno perso o rotto la penna dell’elmetto e tante volte mi capitato di vedere i bambini dell’enclave inseguire galli dalla lunga coda nera per strappargli una penna da regalare al loro amico alpino rimasto senza. I pi piccoli, entrando in ambulatorio, spesso indicano il cappello disegnato sul muro e dicono Paninari! (che in serbo vuoi dire appunto alpini).
    In quelle due famose pagine, si parla delle penne che ad ogni colpo del nemico rispuntavano dalla trincea a far vedere che l’alpino c’era ancora, a vegliare: spero che le penne che abbiamo lasciato qui ricordino alla gente di Gorazdevac che gli alpini ci sono stati, che hanno fatto del loro meglio, e che finch ci sar bisogno di loro torneranno, preannunciati dallo spuntare di qualche lunga penna nera da dietro una cresta o pi profanamente dal finestrino di un veicolo.


    Ten. medicoDiego Olivari
    Cuneo



    Ricordiamo, per imparare


    Carissimi amici,
    la prima volta che vi scrivo, ma dopo l’ennesima affermazione di riconoscimento dei Caduti della Repubblica di Sal da parte del nostro presidente (Ciampi) e il conseguente dibattito acceso per lo pi da una parte dello schieramento politico ho avuto il consueto travaso di bile.
    Premetto che ho 30 anni e per mia fortuna non ho avuto occasione di vivere quei tragici momenti, ma come italiano devo fare appello che si chiuda una volta per sempre questa maledetta ferita che sanguina ogni volte che se ne parla.
    Credo che noi alpini, fieri della nostra appartenenza nonch della nostra italianit, dovremmo in qualche modo porre fine a quella che fu una tragedia tutta italiana.
    Ogni volta che mi fermo davanti a un monumento dei Caduti e penso ai volti di quei ragazzi che caddero per noi sui fronti del mondo, portando nel cuore la nostra bandiera e il nostro onore, sento forte il sentimento che mi lega ad ognuno di quegli eroi che fecero il loro dovere anche quando sapevano che tutto era perduto. Non faccio distinguo tra alpini o fanti o paracadutisti e nutro la stessa gratitudine verso chiunque, anche verso coloro che caddero ad Adua o in Libia o sui fronti delle guerre di indipendenza della met dell’Ottocento.
    Ogni volta provo un certo senso di rammarico per non poter leggere da nessuna parte i nomi di coloro che morirono a Nettuno o in Sicilia o sulle Alpi. Non posso vedere i loro occhi, sentire le loro voci o immaginare le loro speranze. Sono i ragazzi del Monterosa del Barbarigo e della X mas. Chiss quanti ne ho dimenticati!!
    Perch anche loro avevano le speranze, coltivavano gli stessi sogni di che stava dalla parte cosiddetta giusta. E paragono alle mie speranze e ai miei sogni i loro pensieri: tutti volevano un Italia diversa. L’abbiamo avuta, anche con il sacrificio di quei ragazzi. Vogliamo ammetterlo?
    Certo riconoscere quei morti significherebbe riconoscere un’appartenenza e dichiarare al mondo che molti italiani erano fascisti. Ma, per la miseria, non era forse cos?Non era forse un esercito del regime fascista quello che combatt con impegno e onore sui fronti greco, russo, francese e africano. Non eravamo forse noi un esercito invasore e, per la storia, dalla parte sbagliata, a fianco di Hitler, e contro Francia, Inghilterra e Stati Uniti e U.R.S.S.?
    Quei morti li ricordiamo e li osanniamo per il loro eroismo in battaglia: come dimenticare quota 33 nel deserto di El Alamein o il fronte del Don o l’ultimo assalto del Savoia Cavalleria contro i blindati russi?
    Invece abbiamo dimenticato quei ragazzi, sepolti chiss dove senza neanche il supporto del ricordo per tenere viva una pagina dolorosa che aiutasse i giovani a venire a capire cosa poteva portare la guerra: fratello contro fratello.
    Quante madri hanno pianto il loro addio, quante ragazze hanno aspettato il loro ritorno, quanti figli sono cresciuti nella vergogna?Questo peso sulla coscienza italiana deve essere rimosso dando un nome, un volto e possibilmente una preghiera anche a quei ragazzi.
    Da un paese che ha dimenticato anche la divisione Acqui forse questa speranza sar vana!
    Ogni volta che vedo un fumo salire verso l’alto ricorder quei ragazzi affinch sappiano che non sono stati dimenticati almeno da me!


    Caporal Maggiore in congedo
    Piero CARAMELLO
    Battaglione Alpini EDOLO