Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    A proposito della Preghiera dell’Alpino

    Dal 1999 sono impegnato a livelli dirigenziali, ciò implica una grande attenzione nella nostra personale gestione non solo degli atteggiamenti, anche delle parole. Nella mia filosofia di vita sociale c’e prima di tutto il rispetto delle regole. In molte cerimonie a cui ho partecipato in questi anni ho potuto ascoltare e toccare con mano quanto questa disposizione sia disattesa, non solo dai capigruppo ma da molti presidenti, anche in cerimonie di livello nazionale e di raggruppamento. C’e però un fatto importante e che mi trova d’accordo; quando una persona si rivolge a Dio lo fa come meglio gli viene, come sa fare e soprattutto come gli hanno insegnato i suoi educatori. Questo però non implica che se sono in un contesto celebrativo io possa dire ad alta voce ed in pubblico ciò che voglio, non sono nè a casa mia, nè in una manifestazione laica. Ad una celebrazione religiosa, sono tenuto ad accordarmi con il celebrante per ogni intervento che non sia contemplato dalla liturgia. Personalmente ho vissuto in più di un’occasione questo problema; a funerali come in celebrazioni di anniversari, il celebrante mi ha espressamente chiesto se la preghiera che andavo a recitare aveva l’imprimatur dell’ Ordinario Militare e quindi autorizzata. Alla domanda ho sempre asserito che questa preghiera fa parte della nostra storia ed è la preghiera dcll’Associazione Nazionale Alpini, che naturalmente mostravo. Di questo argomento ho già avuto modo di parlare con diversi dirigenti nazionali e presidenti: le posizioni sono molto discordanti. Pochi mesi or sono è mancato un vecchio alpino reduce, un collaboratore attivo, un uomo saggio, equilibrato e soprattutto rispettoso. Quando il male che lo stava divorando gli ha fatto percepire che la fine era prossima, ha voluto dettare il suo ultimo pensiero per me, per il suo presidente: ‘Quando mi saluterai per l’ultima volta e reciterai per me la Preghiera dell’Alpino, ti prego di lasciare da parte quella delle ‘armi’, sono pezzi che portano solo male. All’altare recitai Rendici forti …

    Gianni Ravera Casale Monferrato (AL)

    Obiettore, ma affine

    Sono un convinto obiettore di coscienza che ha ritrovato molte affinità nei vostri valori di solidarietà umana e carità cristiana testimoniati dagli alpini che conosco e veicolati dal vostro bel mensile. Valori che vanno continuamente fatti circolare per costruire un oggi e un domani a misura d’uomo dove l’amicizia e la generosità siano alleate contro l’individualismo e l’indifferenza. È questo ciò che voi sapientemente fate di persona e con la vostra rivista che sono contento di ricevere. È questo il motivo di questa mia lettera di ringraziamento. Mi lega agli alpini di Calvatone e Bozzolo anche amicizia e riconoscenza per il bene ricevuto e per il continuo ricordo che essi hanno durante le loro S. Messe di mio papà defunto ormai da 9 anni. Ricordo il cappellano mons. Astori che, amico di mio papà, durante una manifestazione alpina, negli anni ’70, mi prese in braccio, mi mise il vostro cappello con la penna nera e mi alzò stendendo le braccia e mostrandomi come figlio di un simpatizzante alpino. Sono episodi che lasciano il segno e che si ricordano per la vita. La mia gratitudine e il mio attaccamento al gruppo di Calvatone sono totali e sinceri. Il gruppo è di pianura e pone in essere con semplicità e generosità una sostanziale attività raggiungendo vette, nel cuore, che non hanno nulla da rimpiangere a quelle delle amate Dolomiti.

    Giovanni Santini Calvatone (Cremona)

    Quante feste. Troppe?

    In media sono invitato durante l’anno a una trentina di feste dei gruppi ANA della Valtellina, vale a dire quasi tutte le domeniche da maggio a settembre, più altre domeniche dei mesi rimanenti. Qualche volta dovrei avere il dono della SS. Trinità per essere presente in tre luoghi contemporaneamente, allora cerco di fare un anno per parte ma finisce sempre che qualche capogruppo si offenda per la mia assenza. A tutte le feste la maggior parte delle persone che vi partecipano sono sempre le stesse, vedo le stesse facce e gli stessi cappelli alpini, domenica per domenica. Ormai si è innescato un meccanismo perverso, se tu non vieni alla mia festa io non vengo alla tua e cosi siamo arrivati non solo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma anche dei vessilli e dei gagliardetti. Ci sono sezioni che hanno due anche tre vessilli e dei gruppi che hanno tre gagliardetti, cosi se le feste in provincia sono più di una nello stesso giorno si accontentano tutti. Ma il vessillo non dovrebbe essere accompagnato sempre dal presidente della sezione o dal vice presidente?No, con due o tre va meglio cosi sono tutti contenti e possono vantarsi di avere avuto come ospiti tot vessilli e tot gagliardetti. È come se il sottoscritto, quando ha comandato il reparto avesse avuto due o tre Bandiere di guerra. E non basta: tutte queste persone, che si ritrovano in un anno già decine di volte, vanno all’adunata nazionale assieme e sfilano sempre assieme. Sono consapevole che la festa annuale di gruppo serve per raccogliere fondi necessari a tutta la vita del gruppo, ma mi pare che si esageri. Ecco perché, almeno all’Adunata nazionale si dovrebbe cambiare il sistema di sfilamento, ricostruendo il più possibile i reparti che sono stati tristemente sciolti negli anni e i reparti che fortunatamente sono rimasti in vita. Ma questo è argomento per un’altra conversazione.

    Col. Gioacchino Gambetta Cosio Valtellino (SO)