Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Quei dispersi in Russia

    Le foibe non sono solo un caso unico nella nostra storia. Anche gli 80.000 dispersi in Russia meriterebbero una loro giornata del ricordo. Io ero con loro, ho vissuto con loro quel triste dramma. In noi è sempre rimasto il patto che chi si fosse salvato non si sarebbe dimenticato mai di quei poveri che non sono tornati. Quanti familiari con i capelli grigi vivono ancora in quella storia di sofferenze.
    A me risulta che per tanta di questa gente l’unico ricordo è quella fiammella simbolica che arde in una piazza di Torino per o­norare quegli 80.000 dispersi. È troppo poco. Il nostro silenzio è qualche cosa di ingiusto. Anche quella tragedia deve avere un posto nella nostra storia. Non sarebbe solo un’opera buona, ma dovuta.

    Angelo Fiorenzo Vassarotti Alpino della distrutta Cuneense Tavagnasco (Torino)

    I volontari del lager

    La nostra sembra una storia assurda, paradossale: è quella della enorme massa di militari italiani (600.000), che abbandonati l'8 settembre 1943 e catturati dai tedeschi ufficiali e soldati scelsero la via del ‘Lager’. Con grave rischio per gli ufficiali che, ritenuti i responsabili dell'armistizio dell'8 settembre, per ordine di Hitler dovevano venire eliminati.
    Nonostante le tristi condizioni, i ricatti, la fame, il freddo, il male fisico e morale, pochi finiranno per cedere aderendo alla R.S.I. (solo il 5 6 ); e più per disperazione che per convinzione. La grande massa disse: no! La decisione del rifiuto non fu presa a cuor leggero e venne discussa in conferenze, tenute nei lager da ufficiali più anziani, con vere e proprie lezioni di diritto costituzionale. Non fu una scelta passiva, al contrario, fu una autentica ‘resistenza attiva. Fu una risposta valida, sigillata dal sangue delle migliaia di italiani caduti nei campi di concentramento tedeschi. Fummo ‘volontari del lager’! Perché? Perché stanchi di una guerra tremenda, inutile e perduta; per il giuramento fatto al Re e alla Patria; per difendere la dignità personale di uomini che in coscienza fecero questa scelta. E alla fine, a ripagarci delle nostre sofferenze e umiliazioni, al rientro in Patria a guerra finita siamo stati accolti con gioia e tanto affetto solo dai nostri familiari. Per il resto eravamo guardati con diffidenza… Forse, abbiamo sbagliato noi a rimanere chiusi in noi stessi, a non farci conoscere prima, se dopo sessanta anni la pubblica opinione non conosce ancora bene questa pagina della dolorosa istoria del militar soldato . Noi non ne abbiamo mai parlato!
    Ne parlino allora gli insegnanti nelle loro scuole con gli studenti, affinché non venga dimenticato il ricordo della dura prova sopportata con tanta dignità e fierezza da centinaia di migliaia di soldati italiani.

    Luigi Menegotto Marostica

    Vogliamoci bene, col cappello o senza

    Dopo aver letto ancora un nuovo articolo sulla questione se gli aggregati possano o non possano portare il cappello alpino sento il dovere di intervenire anch’io. Non voglio avere l’ultima parola. Ho l’impressione che si stia esagerando. Ognuno dice la sua. Lasciamo alla direzione nazionale di discuterne e di decidere.
    Non scrivo perché vorrei a tutti i costi portare il cappello degli alpini. Ma penso che sarebbe una cosa bellissima concedere a noi amici di dimostrare che siamo davvero amici degli alpini e che facciamo parte della stessa famiglia e che pensiamo come loro. L’ultimo capo di corredo che mi è rimasto da quando sono stato nell’esercito del mio Paese (il Belgio, n.d.r.) è il mio berretto che ho portato, più di 50 anni fa, da sottotenente di artiglieria e che metterò durante una manifestazione al monumento della fratellanza sulla Presanella, a fine agosto di quest’anno, su invito di un simpatico alpino di Ponte Nossa. Cerchiamo di essere più buoni d’animo e vogliamoci un pò più di bene, perchè i buoni rapporti umani sono sempre più importanti di tutto il resto.

    Theo Marien Capri (Napoli)

    ‘…ritirate i Cappellani dall'Iraq…’

    ‘Vi chiediamo un segno semplice: ritirate i cappellani militari che in questo momento sono assieme ai soldati italiani di fatto parte della coalizione responsabile di quanto sta avvenendo Non possiamo rassegnarci, non possiamo più tacere! Il nostro silenzio rischia di essere interpretato da parte di tutti i crocefissi come connivenza con i crocefissori. Questo silenzio è peccato… . È la richiesta inoltrata da un gruppo di preti e laici della C.E.I., attraverso la rivista ‘Jesus’ del gennaio scorso. Noi alpini non abbiamo l'autorevolezza dei vari Strada per dare consigli alla C.E.I.
    Ci corre però l'obbligo di fare alcune osservazioni:

    a) la missione dei nostri soldati in Iraq è una missione di ‘pace’ e non di ‘guerra’, svolta in un Paese che ha bisogno di essere aiutato a costruire la pace e la democrazia;

    b) la decisione di inviare i nostri soldati in Iraq è una decisione del Governo Italiano, eletto democraticamente dai cittadini;

    c) nel rispetto delle tradizioni locali i nostri soldati hanno portato il loro aiuto alla popolazione di Nassirya e, con il loro comportamento, si sono di fatto conquistati la loro fiducia. Per questo, noi alpini vogliamo rinnovare loro tutta la nostra solidarietà, orgogliosi del loro impegno e del loro sacrificio;

    d) assieme a loro vogliamo ricordare i Cappellani militari e, richiamando i tempi presenti, riandare ai tempi passati per ribadire il nostro affettuoso ringraziamento per il tanto che hanno dato e danno ai nostri soldati.

    Un gruppo di alpini di Vittorio Veneto