Zona franca

    0
    63

    Rubrica aperta ai lettori.

    Il saluto in trincea, all’Umberto 1 di Mestre


    Mi riferisco al reparto cardiochirurgico dell’ospedale Umberto 1º di Mestre, dove ho ‘trascorso qualche giorno dello scorso novembre 2003. La mia vuole essere una testimonianza della professionalità, dell’abnegazione e dello spirito di sacrificio delle persone che hanno scelto di combattere in prima fila le grandi battaglie per salvare la vita al prossimo. Volontari quindi, che a qualsiasi ora del giorno e della notte dopo il ‘breefing’ tenuto insieme ai loro capi, escono dalla trincea ed affrontano il nemico che ti assalta all’improvviso. E da quel momento la tua vita è nelle loro mani! E non è un eufemismo, perché è con le loro mani che ti entrano nel costato e ti collegano con ago e filo gli ormai famosi ‘bypass’, in sostituzione di qualche malridotto tratto di coronaria.
    Questa è la fase centrale degli interventi anche quattro nelle ventiquattrore! che viene preceduta e seguita dal personale che deve prepararti per l’attacco’, seguirne i vari momenti, quindi assicurare il mantenimento della ‘posizione’.
    Mi è venuto spontaneo usare una terminologia militare perché ho vissuto questa battaglia in prima persona e vi assicuro che questi termini rispecchiano fedelmente lo scenario descritto. Ma quello che non potrò scordare mai è quanto mi è successo nei momenti successivi l’intervento e che, sono certo, non poteva accadere che fra alpini!
    Dovete quindi sapere che ‘radio scarpa’, tramite i nostri Barbirato e Bortolato che lavorano all’USSL 12 veneziana, aveva diramato la notizia del ricovero urgente all’Umberto 1º del presidente degli alpini di Venezia. Sta di fatto che mentre lungo e disteso e ancora parzialmente sedato entravo in sala di terapia intensiva, vedo avvicinarsi un tale in camice bianco che scattando sull’attenti e con voce stentorea dice: ‘Artigliere alpino Zamuner Egidio, brigata Julia , 3º artiglieria da montagna gruppo Conegliano, 14ª batteria, presenta la forza: tre infermieri professionali, una O.T.A., un medico, un infermiere coordinatore capo sala. Comandi!’
    Non ci sono parole per descrivere quei momenti. Per un attimo ho pensato di essere arrivato nel paradiso di Cantore e quasi automaticamente ho risposto ‘Comodo, grazie.’
    Questo è stato il viatico che mi ha sicuramente rinvigorito lo spirito e mi ha dato la forza di sopportare le conseguenze di 26 ore di anestesia. Grazie Zamuner e viva gli alpini!


    Adriano Cristel


    P.S.: L’artigliere alpino Zamuner Egidio, capo sala del reparto di terapia intensiva dell’Umberto 1º di Mestre, è iscritto al gruppo di Mogliano Veneto, sezione di Treviso.






    Quando il vecio racconta


    Desidero segnalare un fatto significativo: un mattino nebbioso avevo iniziato la salita al Picco di Vallandro, quando, appena sopra Prato Piazza vidi degli uomini che silenziosamente salivano nella mia direzione. Era un reparto di alpini! Poche parole e mi misi in coda al reparto e arrivati in vetta, con molta prudenza, mi presentai informandoli che ero stato lì 60 anni prima.
    L’ufficiale comandante fece appendere il Tricolore al montante della croce e fece leggere la preghiera dell’Alpino. Io e voi che mi leggete sappiamo bene cosa significa per noi. Nei momenti in cui sono rimasto in vetta con quei ragazzi senza
    trionfalismo, senza paternalismo o arroganza ho scambiato con loro parole semplici che spero possano suscitare delle riflessioni almeno in alcuni di loro. Mi ascoltavano come si può ascoltare un padre. I nostri comandanti potrebbero prendere in esame la possibilità di concederci la presenza, molto discreta, nei reparti in addestramento in montagna, in modo che si possa dialogare con i nostri giovani alpini in un ambiente puro e maestoso. Si potrebbe prendere lo spunto, per esempio, dalla definizione e modello di vita dell’alpino pronunciata dall’allora cardinale Montini e che molto sapientemente Vitaliano Peduzzi ci ha proposto alcuni anni or sono in un suo articolo sulla nostra rivista mensile. Io quell’articolo l’ho incorniciato.
    Perché non inviare, subito dopo il congedo, a tutti gli alpini, un cartoncino col sunto di quel discorso?Lì c’è tutto, non occorre aggiungere una parola, occorre solo riflettere e fare riflettere.


    Luigi Pedrazzini Milano






    Orgogliosi di essere alpini


    Sono un ex corista iscritto al gruppo ANA di Quinto (Treviso). Leggo sempre il vostro giornale apprezzando molto le lettere di solidarietà della gente nei nostri confronti. Sono orgoglioso di appartenere ad un gruppo così affiatato come il nostro. Ho sempre disprezzato il servizio militare ritenendolo un anno perso ma nel Corpo degli alpini ho scoperto cosa vuol dire il lavoro di gruppo, l’aiuto reciproco e le bellezze della montagna.
    Nel periodo di servizio di leva, all’interno del coro della brigata alpina Julia a Udine, ho scoperto che le persone cui facevamo visita nei vari concerti in tutta Italia erano disponibili e sempre pronte ad offrirci ospitalità nelle loro case per un pranzo o una cena accompagnate sempre da un buon bicchiere di vino.
    La cosa che mi ha colpito di più sono state le facce delle persone mentre ci esibivamo. Volti ricoperti di commozione. Sicuramente quelle canzoni ricordavano a loro momenti drammatici del periodo della guerra. Persone segnate nello spirito dalla perdita dei loro cari o di qualche compagno d’armi. Vedendoli così il mio cuore si riempiva di tristezza e pensavo a cosa avrei potuto fare per alleviare il loro dolore.
    Credo che in fondo, la sola nostra presenza abbia portato, anche se nel suo piccolo, un raggio di sole nei loro volti.
    Oggi cerco, a distanza di tempo, assieme ai miei amici alpini, di portare gioia e serenità a tutte quelle persone che non hanno, come noi, la nostra stessa fortuna, con giornate di solidarietà che coinvolgono molta gente del nostro paese. Molte volte penso a cosa avrei fatto se non avessi fatto parte del Corpo degli alpini, così affiatati. Certo, avrei continuato ad aiutare la gente, ma con un altro spirito.
    Un giorno un mio amico mi disse: Io mi sento alpino dentro ed è questo che mi distingue dagli altri . Credo, in fondo, che alpino non si diventi ma si nasca, col desiderio di aiutare il prossimo anche con semplici cose.


    Massimiliano Marangon