Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Non fare il soldato è sbagliato


    Anch’io voglio dare un piccolo contributo a L’Alpino. Sono un alpino della divisione Julia, sopravvissuto da tre lunghi anni di prigionia in Russia. Ho visto la Siberia, poi due anni in Asia, in provincia di Taschent, Uzbechistan, campo 29/3. In quel campo sono morti centinaia di italiani, e dopo morti non erano ancora in pace perché le loro fosse erano di una profondità di 60 70 centimetri e lì c’erano diversi sciacalli e iene che estraevano quei poveri corpi e li divoravano in mezzo alle piantagioni di cotone.
    I nostri soldati di oggi dovrebbero sapere quello che noi alpini, fanti, bersaglieri abbiamo passato, visto, sofferto alla nostra giovane età. Ma quanto era bello fare il soldato in tempo di pace: si imparavano molte cose utili, per esempio ti insegnavano la disciplina, ad essere civili e pazienti; ti insegnavano ad attaccarti un bottone alla giacca se occorreva, ti insegnavano a sopportare.
    Finito il servizio militare ritorni a casa tua, dove i tuoi genitori ti diranno Sei diventato un uomo . Non fare il soldato per conto mio è sbagliato; ci saranno sì i volontari, ma …ma e ripeto ancora, ma! A Roma ci vuole più severità; già, a Roma ci vuole più severità.


    Giovanni Feriotti Valdagno



    Ma il cappello no?


    Ho partecipato pur essendo amico degli alpini e non alpino verace al 7º CISA. Alcuni interventi mi hanno lasciato da prima perplesso e poi sbalordito. Chiaramente volti a dequalificare la presenza degli amici degli alpini nelle strutture associative.
    È stato detto: sì, forse potrebbero portare il cappello i componenti dei cori alpini o delle fanfare ma solo per un motivo estetico e non perché con la loro presenza portano un valore aggiunto a quelle rappresentanze dell’associazione.
    Si potrebbe autorizzare il cappello anche ai volontari della Protezione civile, così sembriamo tanti e non perché condividendo i valori della solidarietà alpina si fanno venire i calli alle mani accrescendo i risultati ottenuti. Chi collabora alla redazione, stampa o divulgazione della stampa alpina o collabora alle segreterie e all’attività dei gruppi?No, tanto non li vede nessuno e potrebbero insidiare le poltrone più o meno importanti su cui siedono quanti hanno sessanta giorni di Penna. Più volte è stato ribadito che per essere alpini occorre che risulti, dal foglio matricolare, che si è portato il cappello per almeno 60 giorni.
    Io, che non ho avuto il grande privilegio non posso sapere che il cappello non è il simbolo di un Corpo scelto di difensori della Patria ma una sorta di incubatrice che trasforma dei comuni mortali che lo portano per più di 60 giorni in una razza superiore che gli amici possono solo veder sfilare da dietro le transenne, anche se il cappello lo indossano una volta l’anno per giustificare libagioni.
    A nome degli Amici degli Alpini rivendico il diritto che, chi ritenuto degno di tale qualifica, sia autorizzato a sfilare, senza il cappello, ma insieme al gruppo di appartenenza, proprio in virtù di quella visibilità invocata dal congresso.


    Alessandro Alfieri Milano


    Elmetti con la penna?Volere é potere


    Il 6 dicembre u.s. a Vipiteno, si è svolta la cerimonia per il rientro in Patria, dopo sei mesi di missione in Bosnia, del 5º reggimento alpini. Il reggimento, schierato di fronte al nostro Labaro ed alle autorità, presentava, però, una nota stonata, della quale mi sono reso conto solo al mio rientro a Milano e precisamente il lunedì successivo quando, leggendo il numero di dicembre de L’Alpino (pubblicato in internet) sono stato folgorato dalla lettera del ten. gen. Bruno Iob, nella quale il comandante sostiene che i nostri ragazzi (salvo il caso di affiancamento di militari di armi diverse nello stesso reparto) applicano normalmente la penna sull’elmetto.
    Eppure a Vipiteno, all’interno della caserma, un plotone o una compagnia (oggi i numeri sono così ridotti che si fatica a fare certe distinzioni) era schierata con l’elmetto nudo , cioè privo di penna: ecco la nota stonata!!!
    Ci dicono che quando gli alpini sono in un reparto di formazione adeguano l’elmetto, ma ci sono eccezioni che dovrebbero diventare regola. Gli esempi non mancano: il 23 dicembre Mediaset ha mandato in onda un servizio sui nostri soldati a Nassiriya nel quale spiccava una lunga intervista al sottotenente Giovanni Parigi, richiamato come consulente giuridico ed ora in forza alla brigata Sassari. L’ufficiale ha spiegato che a suo tempo aveva assolto ai suoi obblighi di leva come ufficiale degli alpini e che ora, anche in virtù del fatto che conosce l’arabo, era stato richiamato per questa missione. Orbene: il sottotenente ostentava sull’elmetto una magnifica penna nera, nonostante fosse inquadrato in un reparto non alpino. La circostanza, però, non tragga in inganno: Giovanni Parigi, infatti, socio ANA e precisamente del gruppo Milano Centro Giulio Bedeschi della sezione di Milano, ha preteso di continuare a portare il cappello alpino (benchè in forza di un reparto non alpino), così come è stato lui che, evidentemente, ha preteso di applicare il simbolo della specialità anche sull’elmetto.
    Non rimane che sperare che le Truppe Alpine, in futuro, mostrino la stessa attenzione a valori e simboli che i soci di questa splendida Associazione mantengono spontaneamente ed orgogliosamente.


    Cesare Lavizzari Milano