Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Sugli amici degli alpini


    Il nodoso e irrisolto problema degli amici degli alpini vede, ogni qualvolta lo si affronta, contrapporsi le più disparate teorie. Ricordiamoci che ci sarà sempre qualcuno pronto a dire di tutto, e il contrario di tutto ma non facciamoci caso;
    analizziamo invece la questione con ragionevolezza, solo così potremo tentare di trovare la giusta soluzione. Chi si accosta a noi, lo fa, e penso di non sbagliare, perché attirato da quell’insieme di cose che noi facciamo e che tutti sanno ma
    che non cito per non cadere nel banale, nella retorica. La nostra poliedricità ci calamita molti lusinghieri consensi ed anche gli amici ne sono parimenti attirati. Ne sono attirati perché vogliono essere come noi, avere gli stessi riconoscimenti, essere parte integrante dei nostri gruppi e vivere il rapporto sociale con le stesse emozioni, con gli stessi entusiasmi. Ebbene in tutto ciò non c’è alcunché su cui discutere anche perché essi che condividono i nostri ideali, sono in molti casi meglio di noi e noi, già accettandoli e desiderandoli nostri aggregati dimostriamo
    loro che sono pedine importanti, carte vincenti nella nostra famiglia. Chi lo può negare!, all’interno dei nostri gruppi sono un punto di riferimento e loro (quelli
    veri) senza nulla chiedere ci sono sempre e sempre presenti, pronti più di tanti di noi. Il problema si complica invece un poco quando questi amici ci vogliono tanto assomigliare che fanno di tutto per avere anche loro il cappello alpino. E su questo punto si scatenano i malumori, le discussioni più accese. Stiamo calmi e seguitemi un po’.
    Perché anziché sentenziare imperativamente la proibizione non facciamo in modo che questi amici abbiano a sentirsi maggiormente importanti senza il cappello che con il cappello?Se essi faranno propria la gratificazione che noi onestamente dobbiamo loro, non si sentiranno così indispensabilmente attirati da quel copricapo che tutto sommato va detto non hanno guadagnato.
    A loro dobbiamo far guadagnare la consapevolezza che sono importanti così e basta. Al riguardo, anche per placare gli animi più intransigenti, chiederei agli amici di non essere così radicati nel volere quel che non gli spetta.
    A loro spetta invece un riconoscimento eclatante che li faccia sentire grandi ugualmente e di più, proprio perché lavorano con noi, condividono con noi le emozioni del donare senza ricevere ma nello stesso tempo sono entità diversa
    unanimemente riconosciuta. Perciò proporrei: perché alle nostre adunate nazionali e sezionali, non riserviamo loro uno spazio, all’interno della sezione che sfila, ove far confluire tutti insieme e senza cappello gli amici degli alpini preceduti da uno striscione presentatore questi sono gli amici degli alpini della sezione di . Riceverebbero tanti, tantissimi applausi in quanto tutti sanno cosa sono e cosa fanno per l’Associazione.


    Ugo Mabellini Parma


    Il coraggio di cambiare


    In vista del prossimo convegno della stampa alpina, e ripensando al recente convegno di Gardone Riviera sento il bisogno di esprimere alcune considerazioni sul ruolo della nostra stampa. Il congresso mi è piaciuto: begli interventi, un pizzico di novità dovuto alla presentazione dei nuovi mezzi tecnologici e un’ottima direzione congressuale. Detto questo, a mio giudizio, è mancata la ciliegina sulla torta, cioè l’elaborazione di progetti concreti e duraturi o almeno l’inizio della elaborazione.
    Mi spiego meglio, si parla sempre più apertamente di imboccare una nuova strada associativa alla luce di tutte le trasformazioni che negli ultimi anni sono intervenute, ma non riusciamo ancora a ben individuarla: non solo al congresso della stampa alpina ma nemmeno a livello di organismi direttivi. Passi avanti molti, svolte storiche ancora no! Eppure sono convinto che il tempo dei consulti e degli studi sia ormai trascorso: se non proponiamo soluzioni alternative, queste ci saranno imposte dalle circostanze ed allora le subiremo come una imposizione anziché una scelta libera e condivisa.
    L’apparato dello Stato, dopo essere stato immobile per decine d’anni sta attuando una rivoluzione copernicana; si parla armai di attualizzare la stessa Costituzione. Quello che per tanti anni è rimasto immutato ora non vale più. Non possiamo aspettare e basta! Dobbiamo avere il coraggio di ristrutturare, cambiare, adeguarci. Penso che l’organizzazione delle direzioni nazionale e sezionale debba essere simile alle strutture comunali, con l’introduzione dei collaboratori esterni, sulla falsariga degli assessori esterni. Non possiamo pensare
    che negli iscritti alpini si possano trovare tutte le figure professionali che la vita associativa richiede.
    Abbiamo tutti una certa età e ciò diventa evidente di fronte alle nuove tecnologie, alle nuove diavolerie burocratiche. La democrazia è bella, ma la sola forza d’essere stato democraticamente eletto non è garanzia di efficienza se non è accompagnata da qualità professionali adeguate. Dalla lettura de l’Alpino noto che ci sono presidenti di sezione che lasciano gli incarichi oppure non si ripresentano: vorrà pur dire qualcosa! Abbiamo già subito, da parte del potere politico, decisioni non condivise, che nel medio termine modificheranno profondamente la nostra Associazione. In particolare la nostra Protezione civile
    ormai è sottomessa alle Regioni in virtù di leggi e relativi finanziamenti, e temo che il nostro volontariato l’apparato regionale lo consideri un suo supporto logistico.
    Non vedo, del resto, come lo Stato potrà far fronte ai continui impegni umanitari se non con l’aiuto dei volontari civili organizzati. La normalizzazione, verrà fatta con il concorso del volontariato indirizzato da scelte dettate dal potere politico e
    non più da eventi calamitosi naturali. Del resto, se i militari, in servizio volontario calano, e le fonti d’impiego aumentano, ciò favorisce l’emergere di questa nuova figura di volontario civile che sul campo rappresenterà le istituzioni, siano esse
    internazionali o nazionali. Non vorrei che le associazioni, che come la nostra fanno del volontariato un fiore all’occhiello, siano destinate, a diventare di fatto n supporto paramilitare a sostegno di politiche umanitarie comunitarie.
    Ormai abbiamo digerito l’abolizione delle leva, non se parla più o meglio, continuerà a rimanere sospesa. Questo non è più un problema. Il problema vero è il rapporto con il potere, qualunque colore abbia. Se dobbiamo fare una trattativa dobbiamo partire dalla pari dignità, dobbiamo essere capaci di proporre soluzioni, elaborare piani, presentarci armati , altrimenti subiremo soluzioni che altri prenderanno ed alle quali sarà difficile dire no.


    Dino Danieli Valdagno (VI)


    Incontri ravvicinati con i VFA del Feltre


    Fortuna. Sì, un pizzico di fortuna a Legnano è arrivata: la caserma Luigi Cadorna di Legnano ospita molti alpini del 7º Feltre che effettuano servizio di vigilanza presso la vicina Malpensa. Sono tutti V.F.A questi giovani alpini e hanno incominciato a frequentare la nostra sede: durante questi mesi piano piano ci siamo conosciuti e con loro abbiamo instaurato un bellissimo rapporto fatto di confronti fra la nostra sede e le loro, la nostra esperienza e il lor
    o impegno in questi periodi di tensione, con il loro amore per la penna e il nostro.
    Devo confessare che in alcuni momenti mi sono venute le lacrime agli occhi, perché ho capito che i miei sentimenti il mio orgoglio d’appartenenza è anche il loro, che la mia passione è la loro passione, e quando questi giovani alpini arrivano in sede, arrivano con il loro cappello che mai abbandonano e poi incominciamo ad intonare i nostri canti.
    A quel punto mi rendo conto che questi veneti, friulani, romani, emiliani, saranno il nostro futuro. Non sono solo i canti che mi portano a questa considerazione troppo semplice e banale sono le loro parole e il loro modo d’esprimere le
    considerazioni sulla vita militare, le loro esperienze e, cosa più importante, il loro amore per il Cappello Alpino. Sì, la loro preoccupazione è che forse in futuro alcuni valori andranno persi perché loro, volontari a ferma annuale, oggi per amore hanno scelto e voluto prestare servizio nelle Truppe alpine, e questa
    scelta scaturisce da tradizioni di famiglia e di amore per la montagna, e per alcuni dall’amore per il Cappello Alpino, questo cappello che per loro era un sogno. Dicevano con orgoglio: Anch’io un giorno ti porterò: un giorno sarò Alpino .
    Oggi lo sono: devi sentire che sono come noi, e sin quando avremo questi ragazzi, sino a quando questi giovani continueranno a credere e a divulgare il nostro modo di vivere fatto d’altruismo di solidarietà, d’amore per la nostra Patria, la nostra bandiera e il nostro cappello, la nostra Associazione continuerà con loro. Auguro a tutti i giovani di vivere un’esperienza come quella vissuta dagli alpini del 7 º Feltre . Grazie ragazzi, non solo per la vostra missione, ma grazie d’esistere. E con un pizzico di commozione ancora una volta vi dico: Ciao, vi guidino sempre nella vita quei valori che con semplicità ma con tanto orgoglio
    d’appartenenza avete espresso .


    Giorgio Piccioni Capogruppo alpini Legnano (sezione di Milano)


    Quelle bandiere di pace


    Egregio direttore,
    desidero intervenire in merito alla risposta da Lei data alla lettera dell’alpino
    Alberto di Biella, apparsa sul numero di settembre, riguardante il titolo: Tricolori e Arcobaleni .
    Lei scrive: Le bandiere della pace, essendo di protesta, hanno incontrato subito il gusto barricadiero dei nostri connazionali. Le ritengo superflue: chi di noi comuni cittadini vuole la guerra?Nessuno. Perciò quei drappi rappresentano l’inutile avvolto nel nulla… . Consultando il vocabolario Garzanti vi leggo che l’aggettivo barricadiero significa: rivoluzionario o estremista. Non Le sembra un po’ troppo pesante e fuori luogo l’utilizzo di tale aggettivo?Lo spirito dei nostri connazionali è proprio come dice Lei, vale a dire rivoluzionario ed estremista?A mio parere, la maggior parte dei cittadini che ha esposto la bandiera della Pace lo ha fatto oltre che per convinzione personale anche su sollecitazione di: vescovi, sacerdoti, oratori, parrocchie, insegnanti, enti, associazioni, centri di solidarietà, amministrazioni regionali provinciali comunali, ecc… Poiché i normali cittadini non
    hanno la possibilità di esprimere le loro idee tramite giornali o televisioni, hanno utilizzato la bandiera arcobaleno per manifestare il proprio sdegno nei confronti di una ennesima, assurda e scandalosa guerra. Non capisco e non vedo cosa ci sia di così estremista e rivoluzionario nella loro scelta!
    È ovvio e scontato che tale bandiera non vuole e non deve sostituirsi né paragonarsi al nostro Tricolore. La nostra gloriosa Bandiera, tanto cara al presidente Ciampi (ma non solo a lui), deve rimanere il simbolo della nostra bella Italia e punto di riferimento dell’unità nazionale e per questi motivi deve essere utilizzata ed esposta in ogni importante ricorrenza o manifestazione.
    Mi sembra di poter affermare con certezza che noi Alpini il Drappo Tricolore lo utilizziamo e lo mettiamo sempre in bella mostra tappezzando vie e piazze in occasione di raduni o sfilate.
    Quindi caro direttore porti pazienza e tolleri quei cittadini, tra i quali il sottoscritto, che hanno e stanno tuttora esponendo la bandiera Arcobaleno con la scritta Pace ; hanno espresso con un semplice gesto la loro voglia di pace e, forse, a quelle persone rimaste egoisticamente nella più completa indifferenza,
    tale gesto ha dato parecchio fastidio.
    Credo di poter sostenere con certezza che con questa scelta fatta degli Arcobalenari non viene minimamente intaccato né sminuito lo spirito di fedeltà nei confronti della nostra amata Patria che ha come simbolo la nostra bella e gloriosa Bandiera tricolore.


    Giancarlo Marin