Vivere la guerra

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    Qualche tempo fa sono stato onorato della visita del nostro Presidente della Sezione di Brescia al quale ho avuto il piacere di mostrare la mia tessera di iscrizione all’Ana dal 1944. Non è un merito speciale ma io considero il tesseramento una goccia di solidarietà alpina, e con la goccia si fanno i ruscelli ecc.

     

    Naturalmente mi hanno invitato a raccontare la mia storia che così riassumo. Quando arriva l’ora della chiamata alle armi a cui si risponde con l’entusiasmo della gioventù, non si pone la domanda che poi si può andare in una guerra giusta o meno (tutte le guerre sono ingiuste) si fa il proprio dovere con gesta che sono anche eroiche come la battaglia di Nikolajewka. Con altri due bresciani: Vittorio Poli e Luigi Chilovi (da tempo in paradiso) per un insieme di circostanze ho fatto parte come ufficiale del 3º Alpini btg. Exilles destinato dal gennaio 1942 fino all’armistizio ad operazioni di guerra in Jugoslavia. In quasi due anni la mia compagnia fra morti, feriti, malati, ecc. ha perso circa un centinaio di alpini. Abbiamo combattuto contro tutto, fatica, paura, fame, pidocchi e contro tutti: comunisti ustascia, bande varie e alla fine contro i tedeschi asserragliati nel forte del porto di Cattaro (Monte Negro). Il 15 settembre 1943 dopo aspri combattimenti la batteria di artiglieri tedeschi con relativi cannoni si arrese. Se tutto l’esercito italiano si fosse comportato come noi la guerra finiva, invece contemporaneamente alla resa dei tedeschi venne l’ordine di sciogliere il reparto. Con l’ultima ammaina bandiera al porto il comandante sciolse ognuno dal giuramento fatto al re (che era scappato) e da vincitori diventammo prigionieri cominciando l’odissea verso campi di concentramento in Germania.

    Giovanni Marco Franceschini

    Caro Giovanni, in poche righe tu ci racconti quanto sedimentato nella tua esperienza di vita militare. E ci si rende conto che scrivere è molto facile, ma solo chi l’ha provato nella propria carne può rendersi davvero conto di cosa significhi vivere la guerra.


    Sono Pietro Fabbris, reduce di Russia, nella divisione Julia, grande invalido e mutilato di guerra, classe 1922. L’Alpino, per me, che sono costretto a passare quasi tutti i giorni, in casa a letto, la lettura, con vari ricordi, mi è di grande conforto. Quando avevo sette-otto anni ricordo mio papà Giuseppe Fabbris, classe 1883, 4º Alpini, battaglione Monterosa, 143ª compagnia, intento a confezionare ceste e cestini, allora io mi sedevo accanto perché mi raccontasse alcune sue vicende di guerra: Col Moschin, Col Beretta, Caprile, Monte Pertica, Cauriol, Broccon, ecc… Qualche volta si spazientiva o, forse, i ricordi erano talmente atroci che si bloccava nel lavoro e mi diceva: «Basta Piero, ti dirò qualcosa anche domani». A pagina 28 de L’Alpino di marzo, ho visto la bella foto di un eroe. I miei ricordi sono andati a quando frequentavo la terza o quarta classe elementare. Il libro di lettura edito dalla Libreria dello Stato, testo unico per il Veneto e l’Emilia, in una pagina erano indicati alcuni eroi della guerra 1915-’18: Cesare Battisti, Fabio Filzi, Damiano Chiesa, Nazario Sauro e Francesco Rispondo, subito dopo, i giovinetti eroi che ricordo ancora adesso: Vittorio Montiglio, Gian Luigi Zucchi, Ugo Polonio, Alberto Riva-Villasanta, Roberto Sarfatti, Enzo Valentini, Claudio Calandra, Amerigo Rotellini, Ferruccio ed Enrico Salvioni e poi chiudeva l’elenco con le parole “… e tanti altri che la Storia e il tempo non potranno rodere”. Ricordo ancora il Bollettino della Vittoria che la maestra mi ha fatto recitare alla presenza dei miei compagni e di quelli della quinta classe elementare. Chiedo scusa se faccio perdere tempo ma mi difettano anche gli occhi e la testa gira un po’.

    Pietro Fabbris

    Complimenti caro Pietro per la tua lucida e brillante memoria. Mantieniti così e vedi di fare con le nuove generazioni quanto tuo padre ha fatto con te.


    Ho partecipato, con entusiasmo giovanile al conflitto italiano al confine dell’Italia nel 1944-1945, arruolato nel btg. Guastatori Valanga. Terminato quel conflitto, come la storia racconta, noi giovani alpini, come molti altri giovani arruolati in vari reparti militari, fummo soggetti alle peggiori angherie, dai campi di concentramento all’arresto ed altro. Ma nulla risultò di veritiero contro gli alpini se non l’atmosfera politica creata dai tempi e dai partiti politici. Il ricordo più bello di tutto quel periodo fu il piacere di esser comandati o affiancati da ufficiali, sottoufficiali e graduati, dai quali avemmo consigli ed insegnamenti. Tutti questi veterani erano reduci dei vari fronti di guerra, per ultimo il fronte russo ove il “Valanga” fu quasi totalmente distrutto. I pochi commenti negativi relativi ai componenti degli alpini tutti anche in quel periodo, furono falsi e non veritieri. Siamo rimasti pochissimi e prima della fine, sarei lieto di ricordare, pubblicando la mia lettera nella rubrica sopracitata, perché i vivi ed i morti tutti sono degni di rispetto, quando Caduti in difesa della Patria, in qualsiasi occasione militare.

    Marcello Lama, Roma

    Caro Marcello, la diffusa considerazione di cui godono gli alpini non è un’invenzione culturale fatta a tavolino, ma sono galloni conquistati sul campo con lo stile di vita. L’importante è non essere presuntuosi quasi si trattasse di un patrimonio non deperibile.