Viva la naja

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    Era l’alba del primo luglio 1961, 3º/’39 di Bra, alpino con nappina blu. Tutto bene per tre mesi (Car avanzato). Marce, puntura, giuramento, incarico cannoniere, gioco a calcio; mi mandano a Fossano per disputare un torneo notturno. Bei tempi, buoni ricordi, tanti amici, vincemmo una corsa di plotoni a Pocapaglia. Arriva ottobre, mi assegnano al 4º Alpini, btg. Aosta, nappina rossa, caserma Testa Fochi, 41ª cp. allora comandata dal magg. Filippo Bonfant. Ad Aosta mi sono trovato bene, aiuto il capitano Canavese a ripristinare e migliorare il magazzino, poi vengo trasferito in maggiorità ufficio dell’aiutante maggiore, di bene in meglio. Periodi sereni vissuti in collettività; giocai a calcio nell’Aosta in quarta serie, campi invernali a Vethan sempre in Val D’Aosta dove sparo con il cannone (anche bene). Ma poi, verso febbraio-marzo arriva in caserma quella brutta cosa: virus da epatite virale. Controlli tutti i giorni (occhi gialli, urina rossa); fu così che un bel giorno è toccato anche a me, mi hanno portato all’ospedale militare di Torino, 44 giorni di isolamento, cure, ipodermoclisi, endovenose… Finalmente la guarigione con la convalescenza, in attesa del congedo. Quanta tristezza penso di aver risvegliato in qualcuno che ricorda quei periodi. Adesso, compiuti gli 80 anni, capisco che il militare è stato un buon esempio di vita. W gli alpini.

    Domenico Croce, Gruppo di Avigliana, Sezione Val Susa

    Caro Domenico, il tuo è uno sguardo retrospettivo, pieno di saggezza. Quando si è giovani si guarda solo al presente, senza valutare le conseguenze di ciò che si fa. Da adulti si progetta pensando al domani. Più avanti, al tempo della canizie, si guarda indietro e si scopre che tutto ha avuto un senso, anche ciò che ci ha fatto soffrire, ma ci ha aiutato a crescere. Auguri.