È una giornata stizzosa quella che fa da cornice all’Assemblea 2016 dell’Ana. L’acqua che viene giù senza creanza non consente divagazioni. Meglio andare dentro e andarci il prima possibile. Ed è lì dentro che l’acquazzone diventa metafora per fare uno spot sulle acque cristalline dei valori e per lavare qualche panno sporco di famiglia. A tener banco è l’etica, senza la quale anche gli alpini rischiano di omologarsi a certo andazzo che si vede in giro, dentro e fuori dalla politica e dal mondo degli affari.
Senza principi solidi anche il nostro “impero” rischia di trasformarsi in un gigante con i piedi di argilla. Ce lo ricordano alcuni interventi. I toni sono diversi. Appassionati, arrabbiati, pacati, provocatori… Del resto anche nelle migliori famiglie talvolta vola qualche piatto, l’importante che non sbanchi la famiglia. Va da sé che parlare di valori resta un punto fermo. Ce lo impone il tempo in cui viviamo. Un tempo di passaggio tra due visioni di vita.
L’una quella dell’altro ieri, nella quale è cresciuta la maggior parte di noi, in cui si partiva da piccoli a insegnarci educazione civica, a trasmettere la convinzione che una solida formazione umana dovesse nascere intorno al concetto di comportamenti virtuosi. L’altra, quella attuale, in cui il bene è visto piuttosto come la realizzazione dei propri desideri. Una lettura individualistica, dove lo star bene personale sembra aver acquisito la precedenza su ogni altra ragione. Un tutto subito e disposti a qualsiasi cosa pur di conseguire l’utile personale, come obiettivo unico da raggiungere. Un cambio culturale, che ha finito per diventare inevitabilmente un cambio di etica, oltretutto sostenuto dall’idea che la trasgressione e il vizio siano un sintomo di libertà e di emancipazione.
Tutto ciò ha prodotto quel nichilismo morale che una penna laica come quella di Galimberti tratteggiava in un suo scritto di qualche tempo fa: «I giovani, anche se non ne sono consci, stanno male… Il presente diventa un assoluto da vivere al massimo, non perché questo procuri gioia, ma per seppellire l’angoscia… In realtà se siamo in crisi è perché un ospite inquietante si aggira, il nichilismo, il quale penetra nei sentimenti e nei pensieri e cancella prospettive e orizzonti. Il disagio non è più psicologico, ma culturale». Non si tratta a questo punto di sederci sullo scranno sconsolato e moralistico dei rimpianti.
Ah una volta, ah come eravamo bravi… Si tratta piuttosto di prendere coscienza che in questa fase di transizione gli alpini sono chiamati a giocare un ruolo di assoluta rilevanza pedagogica, evitando tre rischi assolutamente pericolosi. Il primo è quello del moralismo di chi sale in cattedra battendo il petto agli altri per evitare i colpi sul proprio. Scaricare sempre sugli altri può creare la presunzione di verginità. Ma si tratta sempre di presunzione.
Il secondo è quello di un adeguamento acritico al presente. Ci vuole coraggio per portare il titolo di egregio, cioè di colui che sa anche dire di no, per uscire dal gregge del conformismo, dove si ripete e si fa come il pappagallo per non sentirsi minoranza. Ma c’è un terzo rischio più pericoloso ancora, ed è quello di servirsi dei valori e dell’etica per colpire gli altri. Quando le leggi morali diventano più importanti delle persone, siamo alla cultura del sabato dei farisei che diventava più importante delle creature.
Batterci dentro l’Ana per tener vivi i nostri principi fondativi è cosa nobile e irrinunciabile. Servirsi di questi valori per altri obiettivi è il funerale della fraternità alpina e umana.
Bruno Fasani