«Il bue che entra a palazzo non diventa principe, in compenso il palazzo diventa stalla». Il proverbio viene dai circassi, popolazione del Caucaso sulle sponde del Mar Nero, in gran parte massacrata dai russi durante l’invasione del 1864. Per aver pronunciato questa frase, il mese scorso in Turchia, una notissima giornalista è stata imprigionata ed ora rischia dai quattro ai quindici anni di carcere per lesa maestà.
Lasciamo agli zoologi, o se preferite agli allevatori, le valutazioni su quanto accade in troppe stalle del mondo, che ci ostiniamo a chiamare col nome di politica. A noi alpini basta la provocazione. Non che dalle nostre parti ci siano palazzi da occupare, tantomeno aspiranti principi. Magari piccoli edifici, come le baite dei Gruppi, le sedi delle nostre Sezioni o qualche stanza milanese dove si tirano le fila del governo centrale.
Quanto alle aspirazioni, al massimo si ingaggiano cirenei a costo zero con contratti a tempo illimitato, più che indeterminato. Non sappiamo se accompagnati dai brontolii o il sollievo delle donne degli alpini, alle quali va comunque la medaglia della nostra stima per ciò che fanno e per come lo fanno. Se la provocazione ha un senso, questa riguarda lo stile al quale ci rimanda la nostra storia e la nostra appartenenza, una nobiltà senza corone, fiorita nelle coscienze e nella generosità di chi ci ha preceduto. Penso a questo, mentre la cronaca ci consegna quotidianamente stili di vita sempre più aggressivi e violenti.
A tener banco non sono soltanto gli episodi criminali di uomini che uccidono le donne. Fa impressione l’escalation della violenza dei ragazzi e, ancor più, l’irresponsabile copertura di troppi genitori. Sono bravate, ripetono con inaccettabile spudoratezza. Penso all’aggressività veicolata in tanti programmi televisivi, venduti come intrattenimento, ma di fatto specchio di una cultura dove lo sgomitare e il prevaricare sono diventati il messaggio che passa nell’immaginario collettivo. Penso con quanta rapidità si sta diffondendo la violenza sui social, quella del cyberbullismo, del body shaming, che è mettere in piazza l’intimità altrui attraverso immagini rubate. Inebetiti, ci chiediamo: perché e cosa fare?
Sul perché basterebbe leggere gli scritti di Pier Paolo Pasolini pubblicati pochi mesi prima di essere ammazzato. Con lucida profezia denunciava il cambio epocale che stava accadendo. Si passava da una cultura antica, ancora intrecciata di solidarietà umana e di valori cristiani, per consegnarsi ai nuovi ideali piccolo borghesi, dentro sogni di ricchezza a buon mercato e di benessere illusorio, nel mito del valere scambiato con la notorietà, destinato a creare soltanto rabbia e frustrazione. «Non c’è più scelta tra bene e male» scriveva. E ancora: «La degenerazione delle masse ci ha portati ad essere aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino all’infelicità, che non è una colpa minore».
È dentro questi scenari che gli alpini sono chiamati a mettere in piedi palazzi, popolati di nobiltà. Non palazzi in muratura, ma palazzi morali, fatti di stili di vita, dove la verità della parola corrisponde a quella dell’animo, dove il servizio non persegue secondi fini, dove lo star bene degli altri è percepito come condizione per lo star bene di tutti, dove la pietà per le sofferenze altrui si trasforma in opere di compassione, dove la coscienza del noi ha il sopravvento su quella minuscola dell’io, dove il darsi da fare non ha bisogno di targhe o di battimani… Speranza? Illusione? Lo stile del bene ha il suo fascino e la sua forza è capace di contaminare quanto il male. A noi il compito di crederci e di fare nostro questo stile.
Bruno Fasani