Una riflessione provocatoria

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    Visto lo spazio da lei accordato a lettere di taglio storico-politico di varia tendenza, noi sottoscritti ci chiediamo se possano avere uguale cittadinanza su L’Alpino prese di posizione rispettose dei valori costituzionali ai quali è informata la nostra Repubblica e prese di posizione che, magari sotto le mentite spoglie di rievocazioni di fatti bellici, esprimono di pulsioni nostalgiche più o meno mascherate, come se la nascita della Repubblica Italiana, dopo vent’anni di dittatura e cinque di guerra, non abbia segnato una netta cesura rispetto al passato. In effetti, una questione si pone come discriminante: chi siamo noi che all’Ana affidiamo la rappresentanza dei nostri valori patriottici e territoriali? Un’indistinta schiera in cui possono coesistere propositi negazionisti e revanscisti (del tipo: “Mancò la fortuna, non l’onore”, per cui, se la fortuna avesse assistito le armate hitleriane e mussoliniane …!), oppure siamo gli alpini che hanno giurato fedeltà alla Repubblica Italiana fondata sulla Costituzione? Ci sentiamo ricordare spesso (con buona ragione) il motto “Per non dimenticare”, scolpito sulla stele dell’Ortigara, e riteniamo che non sarebbe male aggiornarlo e completarlo nel nostro agire con un altrettanto impegnativo proposito “E per non ripetere!”. Proprio per questo, riteniamo che non guasterebbe l’inserimento di un esplicito riferimento alla difesa delle nostre libere istituzioni tra gli scopi solennemente affermati all’articolo 2 dello Statuto dell’Ana e (perché no?) anche tra i propositi della Preghiera dell’Alpino. I tempi sono più che mai maturi per farlo, visti rigurgiti nazionalisti e razzisti che minacciano di dissestare la comune casa europea e la pace di cui godiamo da più di settant’anni, ed è nostro l’auspicio che si trovi il modo per farlo, certi che lei direttore troverà lo spazio per pubblicare questa nostra lettera nella rubrica da lei curata.

    Pierluigi Milani e altri amici

    Grazie cari lettori della vostra interessante e provocatoria riflessione. Per rispondere vorrei partire da una semplicissima premessa, che vale anche per la Preghiera dell’Alpino, e cioè che io sono per non toccare nulla di ciò che è il passato. Né luoghi, monumenti, scritti… nulla. E tantomeno adattarli come a volte verrebbe di fare. Questa mia convinzione nasce dall’esperienza della Chiesa, la quale a partire dal 1800 ha iniziato a studiare le Scritture con rigore scientifico. Non era più il caso di prenderle alla lettera, perché questo avrebbe generato il fondamentalismo, fuori dalla storia e da ogni logica, ma neppure tentare di modificarla, adattandola al presente, per poi vederla superata nel giro di qualche anno. Si scelse l’unica strada possibile, che vale anche per la nostra storia alpina. Si cominciò a studiare il genere letterario del linguaggio e il contesto storico in cui era stato formulato un testo e, una volta fatto questo, ci si chiese: qual è il messaggio che viene a noi oggi da questo scritto? Ed è chiaro che se anche noi alpini avremo il coraggio di fare questo discernimento saremo noi stessi a dividere il grano buono dalla zizzania, presenti anche nel nostro passato. È solo la conoscenza che ci libererà dalla retorica e dalla tentazione di letture ambigue. Sono comunque convinto che, al di là di tutte le considerazioni possibili, la vera ferita nel nostro contesto culturale è l’ignoranza della Costituzione italiana. Possibile che nel curriculum degli studi non sia previsto di studiarla, interpretarla, proporla? Salvo poi sparare sui giovani per la loro insensibilità civica. E senza dimenticare che spesso è proprio la cultura che va per la maggiore a mortificare la stessa Costituzione. Si pensi all’articolo 29, là dove si parla della famiglia definendola “una società naturale, fondata sul matrimonio” e lo si rapporti all’andazzo in corso.