Una preghiera per chi non è tornato

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    Non sono un alpino e non feci il militare, per un’anomalia che non sto a spiegare; sono del 1933 e godo buona salute. Però, da sempre, sono amico degli alpini, che ammiro per la loro disponibilità in ogni occasione. Soprattutto, sono affezionato agli alpini, perché – avevo 8 anni – conoscevo tutti i “grandi” (cioè i ventenni) del mio paese, Novello, che finirono in Russia con la Cuneense.

     

    La canzone dei nonni “Siam partiti in 27 ed in 5 siamo ritornà” non è veritiera; la proporzione dei miei amici compaesani “grandi” fu molto più tragica. Erano ragazzi buoni, miti, ubbidienti. I comandanti dissero loro “voi state indietro a proteggere la ritirata” e così fecero. Tutti. Tre anni fa, decisi di andare con mia moglie a portare un fiore ad un altro luogo triste, ai resti del ponte di Perati. Portai e misi anche una targa per lato (albanese e greco), ma di cartone e incollata, in modo che in un paio di mesi le intemperie la portassero via. Infatti, non ero autorizzato da niente e da nessuno e non volevo grane burocratiche. Ci andai col ricordo di un caro amico di famiglia, deceduto da poco, che tornò dall’Albania, ma ci lasciò due gambe. Con mia moglie dicemmo una preghiera e, dal ponte nuovo, buttammo nel torrente un mazzetto di rose, portate da Novello.

    Giovanni Ferrero Cuneo (ma di Novello)

    La gratitudine e la memoria camminano anche con gesti come questo. E diventano sempre occasioni per mettere saggezza nella cassaforte della coscienza.