Una macchia scura sulla neve: un uomo

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    Sfogliando i nostri giornali scopriamo storie che sono tasselli degli infiniti sacrifici degli alpini, della loro umanità e generosità, in guerra e in pace: due momenti diversi supportati dallo stesso spirito. Purtroppo molti episodi resteranno sconosciuti ai più, perché la guerra è sempre un fatto personale: è la guerra di chi l’ha vissuta, che sfugge alle grandi manovre e alle grandi strategie. Ecco dunque uno di questi tasselli sulla sempre attuale ritirata di Russia, una tragedia il cui doloroso ricordo in tante famiglie non si è mai affievolito. Il racconto – riportato da Gianfranco Moriondo – è tratto da Lo scarpone orobico, giornale della sezione di Bergamo.

     

    A vederlo in giro così, per Monasterolo, parrebbe un anziano come tanti altri che circolano in paese, uno che dopo una vita di lavoro ora sta godendo la meritata e sudata pensione. È così, ma anche molto di più. Infatti Mariano Lazzaroni è un reduce, avendo vissuto da protagonista la ritirata di Russia. Nato a Monasterolo del Castello, venne arruolato il 9 gennaio 1941 nel 5° Alpini, battaglione Edolo, Compagnia Comando; partito per il fronte russo il 10 luglio 1942, ha fatto ritorno a casa il 10 marzo 1943, dopo aver vissuto una pagina di eroismo e di grandissima umanità.

    Alle due di notte del 27 gennaio gli alpini, conquistata Nikolajewka, ripresero la ritirata verso ovest, verso la salvezza. Ed ecco come Mariano ricorda quei giorni. «Dopo la battaglia abbiamo continuato il nostro ritorno, camminando a piedi in mezzo alla neve. Una sera, cercando di raggiungere la mia colonna, scorsi una macchia scura sulla neve che scambiai per uno dei tanti muli che morivano, sfiniti, come noi, dal freddo, dalla stanchezza e dalla fame.

    Quando gli fui vicino capii che era un soldato; allora mi chinai su di lui, per vedere se fosse ancora vivo e con grande stupore riconobbi in lui il mio caporalmaggiore Giuseppe Merelli di Vertova. Appena mi riconobbe, mi disse di lasciarlo stare, di non aiutarlo o saremmo morti entrambi. Aveva i piedi congelati e mi pregò di prendere il suo portafoglio e di portare i suoi ultimi saluti alla famiglia. Non gli diedi retta, lo aiutai ad alzarsi, gli misi un braccio sotto le ascelle per sorreggerlo e così ci rimettemmo in cammino; e più lui mi diceva di lasciarlo dove era, più sentivo le mie forze aumentare miracolosamente».

    La vicenda ebbe una felice conclusione, dal momento che sia Mariano che il Merelli sono tornati a casa. «Ma ogni volta che mi ricordo di quei patimenti, dei tanti compagni che ho visto morire – ricorda Lazzaroni – non posso fare a meno di commuovermi. Spero solo che queste barbarie non debbano più accadere».