Prime luci dell’alba del 17 gennaio 1943: lo sferragliare di una formazione di carri sovietici pone in allarme il presidio italiano di Rossosch: il fronte del Don ha ceduto. Gli alpini non si fanno cogliere di sorpresa: i resti del btg. Monte Cervino, con il XXX btg. guastatori e i fanti della Vicenza ingaggiano una lotta mortale con l’avversario. È una giornata di eroismo e di orrore; l’elenco dei Caduti è eloquente. Nel pomeriggio i superstiti iniziano la ritirata verso Postojali e Nikolajewka.
Per gli abitanti del luogo torna la pace. Gli anni passano: dieci, venti, quaranta, quarantotto. In Italia nella sede nazionale ANA si fa strada un’idea lanciata dal vice presidente Ferruccio Panazza, tenente nella mitica 33ª batteria del gruppo Bergamo in Russia: perché non ricordare tanto eroismo con qualche cosa di concreto? Perché non lasciare laggiù un ricordo di tutti coloro che là combatterono, soffrirono e morirono per la propria Patria? Nel 1991 mancava poco al 50° anniversario della nostra vittoriosa ritirata e la ricorrenza sembrava quella adatta al presidente Leonardo Caprioli, reduce, che l’approvò. Scartata la soluzione di un monumento che, pur rispettoso del sacrificio della vita da parte dei Caduti rimane in loco statico e inerte, ci si orientò per un’opera che “servisse ai vivi ricordando i morti”, secondo il felice motto ideato e lanciato poco tempo prima dal presidente Caprioli.
Si decise, dunque, per una scuola o per un asilo; lì i bimbi di Rossosch avrebbero potuto raccogliersi ogni giorno portando una ventata di freschezza da contrapporre agli echi delle battaglie di un tempo. Panazza prese contatto con il sindaco della città russa, Ivanov, che accettò subito la proposta. Nell’ottobre del 1991 una delegazione diretta da Panazza, con Bortolo Busnardo, presidente della commissione lavori, l’ingegnere Sebastiano Favero, attuale presidente ANA, progettista e suo fratello Davide, Lino Chies, Cesare Poncato, tutti alpini del dopoguerra a significare la continuità del “ricordo” che non abbandona mai noi penne nere (e bianche) da Adua a Herat, si recò a Rossosch per i primi rilievi; fu scelto l’edificio da ripristinare: quello, ancora semi demolito, ove aveva avuto sede il Comando del Corpo d’Armata alpino.
Grazie alla disponibilità delle autorità locali furono risolti i due problemi più urgenti: la reperibilità dei materiali edilizi e l’alloggiamento dei volontari alpini che sarebbero affluiti dall’Italia. In loco non era possibile disporre dei materiali più raffinati per cui fu deciso di istituire un collegamento a mezzo TIR per il loro invio dall’Italia: 6.000 km a/r; lo stesso fu fatto per le derrate con le quali integrare la dieta russa: in pratica una specie di… ponte-auto instaurato con una semplicità da lasciare quanto meno sorpresi. In gennaio fu aperto un conto corrente bancario per le offerte che cominciavano ad affluire dalle Sezioni, da banche e a titolo personale: il fabbisogno, assai elevato, fu coperto in tempo sia pure con un poco di affanno; alcune industrie offrirono materiali.
L’Aeronautica garantì un volo quindicinale di aerei da trasporto della 46ª aerobrigata di Pisa per il movimento dei volontari risolvendo un problema altrimenti insormontabile. Il 6 giugno 1992 iniziarono i lavori che proseguirono fino alla fine di settembre: nove turni di due settimane, per una quarantina di volontari ciascuno, alcuni con più di una presenza. Sosta invernale e ritorno al lavoro il 3 aprile 1993 per dodici turni aventi le stesse caratteristiche. Il personale comprendeva ingegneri, geometri, infermieri, cuochi, interpreti, medici e operai specializzati nel ramo edile e, non ultimo, a significare lo spirito religioso che anima gli alpini, il sacerdote. Le presenze furono 272 nel primo turno e 404 nel secondo con alpini provenienti da numerose Sezioni. E poiché siamo in ambiente alpino non deve sorprendere se due generali di Corpo d’Armata, Mario Gariboldi, tenente durante la ritirata e Fulvio Meozzi, delle nuove leve post belliche e figlio di Carlo, comandante del gruppo Bergamo in Russia, cazzuola e carriola alla mano hanno lavorato da… aspiranti manovali. E con loro numerosi ufficiali e sottufficiali.
Una simile organizzazione che, normale per gli alpini ma agli occhi degli “altri” incredibile, aveva le sue retrovie a Bergamo dove era stato creato un centro raccolta dei volontari in attesa di partire dall’aeroporto di Orio al Serio e i materiali e le derrate da inviare con il già citato TIR. Il 19 settembre 1993, alla presenza del presidente Caprioli, di Panazza, di Busnardo, di Favero, del ministro della Difesa Fabbri e della delegazione russa è avvenuta la consegna dell’asilo al sindaco: una costruzione di stile occidentale che non stona nel contesto delle abitazioni russe, con cucina, tre centraline termiche, le camerette che ricordano Biancaneve, la zona giochi.
Nel seminterrato il museo creato dal prof. Morozov, grande amico degli alpini, che era un ragazzetto al tempo dell’occupazione italiana, ove sono riuniti i cimeli della battaglia nonché targhe e simboli di Sezioni e Gruppi donati dai volontari durante la loro permanenza a Rossosch. Alla cerimonia parteciparono oltre un migliaio di italiani: gli 850 giunti in aereo (molti i reduci), i 332 della colonna ICARO – vedi di seguito – e un altro centinaio già in loco. Folta la partecipazione di cittadini russi. Innumerevoli i vessilli e i gagliardetti alpini.
L’impresa ICARO (acronimo di In Camper A ROssosch) merita una citazione: 95 camper personali provenienti da 32 sezioni ANA con 13 mezzi di supporto logistico si trasferirono in colonna da Milano alla cittadina russa in sette giorni attraverso Italia, Austria, Ungheria, Ucraina e Russia (e ritorno) per consentire a 332 alpini (tra cui sette reduci) e loro familiari di assistere alla suddetta manifestazione. Alla sezione di Como il compito di fornire il direttore del complesso (Di Dato), i responsabili delle tre Sezioni in cui la colonna si articolava (Gregori, Sebregondi, De Martin) e del nucleo vettovagliamento (Confalonieri).
La sua eccezionalità ha fatto guadagnare all’ANA un riconoscimento dalla commissione per il “Guinness dei primati”. Sono passati vent’anni: l’asilo funziona a pieno regime; i primi bimbi che vi entrarono sono oggi donne e uomini fatti. Tanti attori, russi e italiani, sono andati avanti; sempre nuovi bambini lo frequentano consci che quell’oasi di italianità è il dono di tanti signori con uno strano cappello con la penna venuti da lontano per ricordare i Caduti di entrambe le parti.
Cesare Di Dato