Un lungo fiume dietro al Tricolore

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    Sfilano con l’orgoglio alpino, le sue tradizioni e la sua forza. Sfilano con la loro storia, i sacrifici, la solidarietà di cui sono capaci, con la responsabilità e l’amor patrio che li animano. Sfilano per quanti non sono tornati.

    Gli alpini che passano davanti al Labaro sorridendo, salutando, felici di essere insieme per dire che nonostante tutto, la crisi, il degrado morale, la corruzione, ci sono ancora loro a difendere valori che sono i cardini della società in cammino. Così, decine di migliaia di penne nere attraversano la città come un lungo fiume colorato, soprattutto nei patriottici bianco, rosso e verde che ben rappresentano, nella metafora teologica, la fede nelle istituzioni, la carità verso chi soffre e l’entusiasmo della speranza che li muovono.

    È tutto questo che la sfilata significa, non uno scorrere di moltitudine che può sembrare monotono, ma la dimostrazione che sono tanti a sostenere questi valori e nessuno vuol restare da parte. Per questo passano per primi la Bandiera e il Labaro, non perché lo prescriva il protocollo ma perché aprono la strada e danno significato a tutti gli altri che seguono. Se non ci fossero quei due Battistrada, sarebbe tutto ridotto a un lungo corteo.

    La Bandiera è scortata da due compagnie di alpini del 1° reggimento di artiglieria da montagna, che ora la burocrazia militare chiama “terrestre” ma sempre di montagna è, e noi continuiamo a chiamarla così. Con il Labaro ci sono il Consiglio Direttivo, il generale Alberto Primicerj comandante delle Truppe Alpine e il presidente nazionale Corrado Perona che una settimana dopo concluderà il suo terzo mandato carico di pesanti ed esaltanti impegni. E poi una selva di Gonfaloni che danno allo Stradone Farnese un caleidoscopico aspetto che sarà ricordato come un’icona nella lunga e gloriosa storia della città (e c’è già chi chiede che Piacenza sia dichiarata “città degli Alpini”).

    In tribuna, le massime autorità militari, con la vice presidente del Senato Valeria Fedeli, il ministro della Difesa Mario Mauro, il capo di Stato Maggiore della Difesa ammiraglio Luigi Binelli Mantelli e dell’Esercito gen. Claudio Graziano. Passano su camionette scoperte i reduci che si guardano intorno sorridendo e salutando. La gente applaude questi nostri “veci” che sono il legame con tutti quelli che sono rimasti sul campo e non saranno mai dimenticati. E poi passano gli alpini che vivono all’estero e che nonostante tutto amano l’Italia più di quelli che sono rimasti: nella loro seconda patria sono rispettati per quello che hanno fatto e per quello che sono, si distinguono da tutti gli altri emigrati perché sono rimasti alpini.

    I colori che seguono sono quelli dei volontari della nostra Protezione Civile: sono gli alpini che partono quando c’è un’emergenza, ma anche quelli che intervengono dappertutto, nei loro paesi, dove ci sia bisogno di fare qualcosa per la collettività, perchè tutti gli alpini si trasformano in volontari della solidarietà. È anche questo uno dei significati dell’adunata e della sfilata. Che continua con gli alpini più lontani (Sicilia, Sardegna…), settore per settore, Sezione per Sezione intercalati da bande, corpi musicali, fanfare che danno il passo agli altri e il tono dell’allegria e della festa a tutti.

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    I numeri danno il senso della consistenza territoriale, migliaia, decine di migliaia… Si distinguono spesso per colori omogenei, perché sventolano bandierine, perché cantano, portano scarpe da roccia e corda a tracolla, con i cani da ricerca… Hanno l’aspetto severo coloro che portano il vessillo, con il presidente di Sezione accanto e dietro, gli alpini del Consiglio, molto spesso con i sindaci con fascia tricolore e – tanti – cappello in testa. Nessuno chiederà ai sindaci – gli unici che sfilano con gli alpini – l’appartenenza politica, perché siamo sicuri che, avendo quella fascia tricolre, sono degni di sfilare.

    In tanti e tanti paesi, soprattutto di montagna, hanno come punti di riferimento il capogruppo, al quale ricorrere in caso di necessità, si incontrano per strada, all’uscita dalla chiesa, non hanno bisogno di fissare appuntamenti, né l’uno né l’altro. Così un fiume per undici ore, con migliaia di cittadini, amici e parenti degli alpini dietro le transenne a salutare e applaudire, senza stancarsi né deflettere, sotto il sole o la pioggia, fino a quando arrivano – pare sempre troppo presto – le bandiere che ci ricordano gli anni di fondazione del Corpo degli Alpini e poi lo striscione che dà l’arrivederci alla città della prossima adunata: è gia tempo di Pordenone, fra la gente friulana, che più alpina non si può.

    Giangaspare Basile