Un grande uomo, un grande alpino

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    Caro direttore, non ti ho mai scritto perché non ho problemi da sottoporti o mie lamentele sul comportamento della gente. Leggo sempre, divertito, le tue risposte, sempre azzeccatissime. Quando, però, mi è arrivato L’Alpino, con i miei tre alpini cantori in copertina, non potevo non chiamarti per urlare, alto e forte, il mio calorosissimo grazie al direttore e ai suoi collaboratori. 

     

    È chiaro che non sono stati festeggiati i 99 anni, ma quello che ho fatto in un periodo tanto lungo. Sono perfettamente conscio che il mio comportamento non è sempre stato quello che dovere e coscienza avrebbero dovuto dettarmi. Se sono abbastanza sicuro di non aver fatto carognate, sono però tanti i comportamenti biasimevoli fatti in piena consapevolezza e quelli per incuria o incapacità. Chiedere perdono era un modo troppo facile per mettere a posto la coscienza, quindi, quando nel 1973 sono andato in pensione da dirigente generale delle ferrovie, ho messo a disposizione il mio tempo, le mie conoscenze ed esperienze di quello che era stata la prigione e la guerra di Russia, per far sapere, per correggere, per smentire, per sbugiardare i molti che scrivevano libri, facevano articoli e conferenze sulla Campagna di Russia senza aver mai messo il naso fuori del loro ufficio. Da quel momento tutta la mia attività fu destinata ad un unico scopo: dare una risposta, possibilmente sicura e completa, sulla sorte del loro congiunto alle migliaia di famiglie italiane che non lo hanno visto tornare a casa dal fronte russo. Caro direttore, ho ancora un’altra cosa da farmi perdonare: il ritardo di questo ringraziamento. Purtroppo le feste, le mangiate e le bevute si sono ripetute implacabili anche dopo il 12 dicembre con inconvenienti, sconvenienti per il mio intestino e la mia memoria, non del tutto rimarginati. Con i più fervidi auguri per il 2017, a te, ai tuoi collaboratori, a L’Alpino e a tutti quelli che hanno portato e continueranno a portare la piuma sul cappello! Mandi!

    Carlo Vicentini

    Era solo Natale, quando L’Alpino usciva con in copertina i tre alpini di Carlo Vicentini. Di lì a poco mi giungeva in direzione questo scritto. Scritto rigorosamente a mano, con una grafia così nitida, sicura, precisa da far pensare alla scrittura di un giovane. Colpì tutti noi della redazione quel tratto che non consentiva di pensare a una mano di 99 anni. Ma ci colpì soprattutto la modestia e l’umiltà del contenuto della lettera. Ora che anche lui è “andato avanti”, questo scritto assomiglia ad un testamento morale, che ci aiuta a capire perché alcuni uomini sono davvero dei grandi.