Un atto di umana pietà

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    Scrivo in merito alla fucilazione dei quattro alpini a Cercivento nel 1916, per esprimere una posizione non so se minoritaria, ma certamente controcorrente e probabilmente scomoda rispetto a quella che va ormai per la maggiore.

     

    Premetto di essere favorevole al recupero della loro memoria, come a quella di tutti i morti di quel lontano conflitto: cent’anni sono trascorsi dalla Grande Guerra, e ritengo giunto il tempo di ricordarli indistintamente tutti, fucilati compresi. Ma il ricordo, a mio parere, deve rimanere un atto di umana pietà, non certo trasformarsi in un’operazione “politica”. E la sovraesposizione mediatica che si è voluta dare, a livello locale, al caso dei quattro fucilati di Cercivento, mi sembra esuli dall’umana pietà. Si parla di rifare oggi il processo che allora li condannò, si parla di loro come di vittime innocenti, addirittura di martiri. Ecco, io rifiuto come cialtronesca questa demagogia spicciola e a buon mercato, capace certamente di creare consenso attorno a chi la esprime, ma per nulla rispettosa della verità storica.

    Pierluigi Scolè

    Spero che vorrai perdonarmi per aver mutilato il tuo lungo scritto che fa un resoconto dettagliato e preciso dell’avvenimento doloroso di Cercivento. L’ho fatto per ragioni di spazio, ma anche perché vorrei tornare sul tema delle defezioni e delle diserzioni, aprendo un dibattito allargato e composto. So che al Senato si sta parlando di riabilitare per legge chi fu disertore. Non è il caso di Cercivento, ma mi sembra comunque una scelta ideologica. Mi risulta difficile equiparare i meriti chi ha dato tempo alla causa, pagando spesso con la vita, a chi ha deciso di tirarsene fuori, salvo poi godere dei benefici conquistati da altri.