Un alpino clochard

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    Questo non è un racconto di fantasia, è una storia vera. In redazione stentavamo a crederlo, tanto che lo abbiamo verificato con l’autore. È una storia di grande umanità che vi proponiamo, anche se Natale è passato, perché è sempre tempo di solidarietà.

    Nel periodo di festività natalizie mi torna alla mente la storia di un uomo che vorrei raccontare, per non dimenticare. Lo vedevo ogni mattina appena uscivo di casa e lo rivedevo spesso in giro per il quartiere durante il giorno, era minuto, asciutto. Sempre in strada, sempre in cammino, alla ricerca di qualcosa da mangiare, frugava dappertutto senza mai darsi per vinto.

    Di giorno riposava sulle panchine dei giardini, di notte dormiva sui cartoni sotto la pensilina di una scuola. Si sdraiava molto presto per non rischiare di perdere il posto. Lo salutavo sempre, era un ometto quasi vicino all’ottantina e aveva la schiena ricurva. Il volto leale, pieno di rughe e sempre pronto al sorriso. Natale 1993. Volevo dividere il pranzo con chi era solo ed ho scelto lui. Varcata la frontiera della sua diffidenza accettò di seguirmi, con la sua bici colma di borse piene di non so che cosa. Dopo un bel bagno, anche se non voleva saperne di lavarsi, gli donai i miei vestiti ed il cappotto che non mettevo più.

    In sala vide il mio cappello da Alpino. Si fermò ad osservarlo e delle lacrime scesero dai suoi occhi bagnandogli le guance rugose. Mi disse: Aspetta, scendo e torno subito . È salito con un sacco con dentro ben conservato il suo vecchio cappello da Alpino, con una piccola penna e dei fori. Quei buchi cosa sono? , gli chiesi. Servivano per ingannare il cecchino . Gli richiesi: Ma chi sei? , e dopo il pranzo mi raccontò la sua epopea. In sintesi vi dirò la sua storia, ma si potrebbe scriverne un libro. I miei genitori sono morti durante la prima Guerra Mondiale.

    Sono stato cresciuto in un collegio da dove sono fuggito. Una famiglia mi accolse e mi adottò per fare il fameo : ero il servo di tutti, dormivo sopra una stalla di buoi. A 18 anni mi arruolai nell’esercito. Ho combattuto in Africa, in Albania e poi inquadrato in una compagnia di Alpini, sono stato spedito in Russia, sul Don. Volontario, sono rimasto a sparare fino all’ultima cartuccia per contrastare l’avanzata del nemico. Poi camminando giorno e notte, soffrendo freddo e fame, sono riuscito a trovare, non so come, il resto del mio reparto. Partecipai allo sfondamento di Nikolajewka.

    Quanti assalti hai fatto? Non so, tanti. Non m’importava per niente morire ed invece non sono mai stato nemmeno ferito. Dopo l’8 settembre sono stato catturato a Trieste dai tedeschi ed avviato verso un campo di concentramento, dal quale fuggii prima d’essere internato. Camminai verso l’Italia. Mi trovarono dei gruppi di partigiani e lì rimasi con loro a combattere fino alla fine della guerra. Poi ognuno tornò alla propria casa. Io da allora ho cominciato a camminare in lungo e in largo per tutta l’Italia. La mia ultima tappa sarà qui a Verona e poi partirò per un altro viaggio a trovare tanti miei compagni e a chiedere perdono per tutti quelli che ho ucciso .

    Si era fatto tardi, calava il buio della notte. Mi disse: Adesso devo andare, ad occupare il posto per dormire la notte. Altrimenti se ritardo ancora mi prendono non solo il posto, ma anche i miei cartoni . Ringraziò mia moglie molto commossa, ci abbracciammo, lo abbracciai come un padre e mi disse che era stato il più bel giorno della sua vita. Anche per noi è stato il più bel Natale della nostra vita. Per un certo periodo dovetti assentarmi da casa e al rientro, non vedendolo in giro, domandai di lui. Mi fu riferito che era stato trovato in una gelida notte dietro un banco del mercatino rionale, assiderato. Come coperta aveva i suoi cartoni. Si chiamava Angelo.

    Era volato in cielo. Né onore né gloria, nessuna medaglia, nessuna via a suo nome, non era nessuno, solo un grande combattente, un eroe, un Alpino Clochard. Spero che almeno il suo cappello sia stato sepolto con lui. Che malinconia mi rimase non vedendolo più.

    Albino Albertini