Tesori nascosti

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    È un’emozione avvicinarsi a una nuova valle: tra pochi istanti gli occhi si poseranno su cime i cui profili ora sono solo immaginati. Come si arrampicheranno i boschi sulle alture? Quanto spazio concederà loro la roccia che trionfa sempre sul culmine della montagna? E i paesi raccolti intorno ai campanili e i colori caldi dei mazzi di larici nell’autunno inoltrato: quale paesaggio ci attende?

    Incessante il fluire dei pensieri, interrotto bruscamente da un cartello che segna l’arrivo. Siamo nell’alta Valtellina e lo sguardo si riempie di armoniose vedute. Svetta tra i tetti delle case il monte Tresero. La semplicità geometrica di un triangolo, il profilo dal taglio netto. Una piramide bianca che, come il nord in una bussola, identifica la valle e colpisce nel profondo. In questa vallata vive Marta, una bimba di otto anni. È da poco tornata dalla Russia. Era in quel paese lontano e fuori dalle consuete mete turistiche con la mamma, la nonna e il nonno Gianni, alpino del Tirano.

    C’era il ventesimo dell’asilo sorriso di Rossosch, costruito dagli alpini e inaugurato nel 1993. Marta è cresciuta in una famiglia alpina: alpini sono il papà Roberto, il nonno Gianni e il bisnonno reduce di Russia, Alfonso. Non è un’eccezione però. In questi paesi dove ancora molti mestieri sono figli diretti della montagna, dove il cemento ha perduto miseramente la sua battaglia con il legno, decoro tuttora prediletto, gli alpini sono da sempre gli interpreti meravigliosi di storie dal sapore antico. Storie che nelle lontane città del fondo valle suonerebbero come favole. E raccontando di Marta viene naturale domandarsi cosa sia rimasto di questo viaggio nel suo cuore di bimba.

    Immagini e colori, sì. Ma anche tante domande che la sua famiglia e il tempo sbroglieranno senza fatica. Le risposte scolpiranno il suo carattere e diverranno un punto privilegiato da cui guardare il mondo. Marta stenterà a comprendere le ragioni di una guerra che ha significato sofferenza per i giovani che la combatterono e per le famiglie che, di questi giovani, piansero la morte. Eppure rivedrà nei bambini che giocano all’Asilo Sorriso, la trasposizione più concreta dell’idea di pace. Come a chiudere un cerchio.

    Un cerchio che al suo interno ha una trama fitta. Sono i fili di esistenze che si intrecciano, si uniscono, si fondono. Tra loro, quella di Marta. E dinnanzi a questa vita che ha trovato fondamenta solide su cui crescere e divenire forte avvertiamo in noi un flusso di speranza che imperioso spinge il cuore, ne accelera il battito e ci fa dire: è semente questa, che attecchisce nel terreno. Non è la fine. E la dimostrazione viva, concreta, la ritrovo nella sua valle, al cospetto della quale oggi mi sono presentata. La ritrovo negli alpini che la abitano, in particolare in quelli del gruppo di Valfurva con cui ho trascorso ore che non scorderò. Adolfo, il capogruppo, Enrico e Roberto. Insieme a loro Mario Rumo, presidente della sezione di Tirano.

    Persone semplici, come l’architettura delle baite di montagna. Nessun orpello, nell’animo solo l’essenziale. Mi raccontano del primo capogruppo, Mario Testorelli. Se ne è andato ormai da più di dieci anni, eppure è vivo. Vivo nei loro ricordi, nelle loro parole. Nei gesti che seguono fedeli il suo insegnamento. Visito il museo etnografico e vallivo di Valfurva. Mario e sua moglie Ilde, che ho il piacere di conoscere, lo avevano tanto desiderato. Da piccola esposizione privata è divenuto oggi uno dei tesori di questa regione alpina. All’esterno appare come una bella casa di montagna a cui inevitabilmente ci si accosta. Una volta dentro, inizia il viaggio: centinaia di oggetti a raccontare un mondo lontano, che non c’è più.

    Ilde Testorelli vi passa molto tempo ed è circondata dall’affetto e dall’aiuto concreto degli alpini che mai l’hanno lasciata sola. Mi fermo davanti a un grande orologio che richiama quello dei campanili con tanto di campane a scandir ore e mezz’ore. Enrico aziona il meccanismo perché anche io possa ascoltare il suono dei rintocchi. Poi porta il dito ad una scritta posta lì accanto: ‘Il tempo galoppa, la vita sfugge tra le mani. Ma può sfuggire come sabbia oppure come una semente’. Mario fu semente. A valle, nel suo paese, con questo museo e lassù, tra i ghiacci, con il ripristino del bivacco dedicato agli alpini del battaglione skiatori Monte Ortles. Siamo sopra i tremila.

    Un orizzonte di sola neve disegna la punta del San Matteo. Scenario della guerra bianca combattuta cento anni fa, anche dagli alpini. Su questa straordinaria terrazza essi costruirono un villaggio: baraccamenti, cucine, infermerie. In questa solitudine sempre a portata di mano vissero mesi lunghissimi. Quassù Testorelli ritornò negli anni Sessanta e ancora negli anni Settanta. Poi si decise e buttò sul tavolo un sogno: ripristinare una baracca e farla rifugio. La scelta cadde su quella che gli anni di gelo e neve avevano un poco risparmiato, almeno nella struttura.

    All’interno si dovette faticare parecchio a sfrattare tutto quel ghiaccio vivo, inconsueto padrone di casa. E non fu cosa da poco. Vi lavorarono in molti. Il sabato, la domenica, ogni giornata di festa Mario e i suoi alpini salivano la montagna con attrezzi e materiali. Quella baracca era la casa di ognuno. Venne inaugurata nel settembre del 1974. Da allora ogni estate nel mese di agosto, gli alpini in pellegrinaggio ritornano a quel bivacco di cima Vallumbrina, guidati da un richiamo irrinunciabile, un richiamo nostalgico e silenzioso. Il tempo, si sa, fugge incurante, come un torrente gonfio di pioggia porta con sé tutto quanto capiti lungo il suo corso. Così, Mario. E tanti altri come lui. Eppure non ci lascia mai orfani: ora c’è Adolfo ad assicurare fedeltà a questa promessa. Egli con vigore conduce i suoi lungo un cammino tracciato da un’eredità che si rinnova e si tramanda.

    Ovunque, ma soprattutto qui. In questa valle che attraverso i suoi uomini ha condiviso con la storia d’Italia un unico destino. E oggi, di questa semente, possiamo assaporarne i frutti. Il più dolce è questa famiglia alpina con i suoi nonni, i suoi papà. E i suoi figli. Come Mario, Adolfo, Enrico e Roberto. Siano come siano, loro sono là, a riempire la fine d’una giornata d’autunno inoltrato. Plasmati da una semplicità propria delle cose antiche.

    Li vedo sorridere, mentre prometto loro che ci rivedremo presto. Tra non molto cadrà la neve e verrà Natale. In quel giorno all’alba, quando il sole dorme ancora e i minuti corrono veloci a svegliarlo, penserò a questa storia. Ai luoghi, alle persone. E a quel bivacco tra i ghiacci avvolto da una pesante coperta di neve. Per un giorno sarà capanna, carezzata dalle montagne che tutte intorno s’allungano ad incontrare il cielo.

    Mariolina Cattaneo