Terra di mezzo

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    A tre lustri dal grave conflitto nei Balcani il Kosovo è una terra di mezzo, dal futuro incerto e dallo status internazionale non ben definito. Nel 2008 la proclamazione d’indipendenza, non riconosciuta da molti Stati – alcuni anche europei – ha riacutizzato le tensioni con la Serbia che rivendica il territorio. L’Unione Europea ha quindi rafforzato l’impegno internazionale con EULEX (acronimo di European Union Rule of Law Mission) per agevolare la costituzione di uno stato di diritto, cercando di aumentare la sicurezza interna, amministrare la giustizia e il controllo doganale. Il faticoso cammino verso la transizione non può prescindere dall’operato della KFOR (Kosovo force) che dallo scorso settembre è comandata dal generale di Divisione, alpino, Francesco Paolo Figliuolo.

    Generale, da pochi mesi ha assunto la guida della KFOR, una missione iniziata nel 1999. Quali sono i compiti della forza multinazionale in Kosovo?

    KFOR opera sin dal 1999 sotto egida delle Nazioni Unite per l’implementazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1244, volta a creare in Kosovo un ambiente sicuro e a garantire la libertà di movimento. A tale scopo, KFOR si interfaccia quotidianamente con le altre organizzazioni della comunità internazionale presenti nella regione e con le istituzioni civili e di sicurezza locali. Oggi sono il comandante di oltre 5.000 militari appartenenti a 31 diverse nazioni, tra cui circa 550 italiani, un’eterogenea ma efficace e coesa missione militare che ha dimostrato grande professionalità raggiungendo pregevolissimi risultati. Nonostante negli ultimi anni la forza totale della missione si sia ridotta di dieci volte, rispetto a quella iniziale, il livello di sicurezza percepito in tutto il Kosovo è indubbiamente aumentato, in maniera più che proporzionale.

    In cosa consiste e come si sviluppa il supporto alla popolazione?

    KFOR garantisce, attraverso la sicurezza e la libertà di movimento, le migliori condizioni per lo sviluppo economico e sociale del Kosovo; inoltre, compatibilmente con le risorse disponibili, KFOR interviene direttamente, su richiesta nelle varie municipalità, per sostenere progetti di carattere infrastrutturale (viabilità, ricostruzione edifici scolastici, fornitura di servizi, energia) che consentono, oltre al miglioramento delle condizioni di vita, il rilancio delle economie locali e la crescita delle attività commerciali. Grazie alla presenza e al lavoro svolto da KFOR, le condizioni di vita della popolazione sono sensibilmente migliorate dall’inizio della missione, 15 anni or sono.

    Nel 2000 lei è stato già in Kosovo dove ha comandato la Task Force “Istrice”, su base Gruppo di artiglieria da montagna “Aosta”, svolgendo un operato per il quale è stato insignito della Croce d’Argento al merito dell’Esercito. Com’è cambiato in questi anni il Paese?

    Sono rimasto colpito dalla volontà dei kosovari di risollevarsi, creando le condizioni per un futuro migliore, sulla via della convivenza e della tolleranza. Proprio in questi giorni, ho presenziato, presso la base italiana di Belo Polje, alla ratifica di una storica intesa tra Padre Sava Janijc, abate del monastero di Decane ed eminente esponente della Chiesa Serba Ortodossa, e Rasim Selmanaj, sindaco kosovaro albanese della stessa municipalità. Gli accordi prevedono la realizzazione di importanti lavori stradali, finanziati dal nostro Paese, nelle proprietà del monastero, garantendo l’attenzione della municipalità al rispetto dei vincoli di salvaguardia ambientale qui vigenti. Tale accordo, raggiunto grazie alla mediazione dei nostri militari italiani, cui è demandato il delicato compito di sorvegliare il monastero, bene protetto dall’UNESCO, sarebbe stata improponibile nel 2000, quando la divisione inter-etnica era molto più marcata. Mi ricordo perfettamente le tensioni di quel periodo, quando comandavo la task force “Istrice” a protezione dell’enclave serba di Goradzevac. Al riguardo, ricordo che i miei artiglieri da montagna, oltre ai normali compiti, dovevano finanche scortare gli agricoltori per raggiungere in sicurezza i campi limitrofi da arare. Era un periodo difficile ma devo dire che i nostri rapporti sono sempre stati veramente cordiali ed amichevoli, sia con i kosovari serbi che con i kosovari albanesi. E a tal proposito voglio menzionare che spesso i nostri cucinieri si recavano a Pec/Peja, presso un forno kosovaro albanese, per prendere il lievito madre per fare la pizza al campo la domenica sera. Come dimenticare, infine, una famiglia di etnia rom che abitava in una baracca di fortuna di fronte alla nostra base. Il nostro medico andò una volta a portare le sue cure alla vecchia nonna malata, grazie al fatto che il nipote, un bambino sveglissimo, che poteva avere allora una decina di anni (età che aveva mio figlio più piccolo), era la nostra mascotte e peraltro parlava perfettamente l’italiano.

    A quale punto è il rapporto tra la predominante etnia albanese e la minoranza serba presente sul territorio?

    Le due comunità, senza voler dimenticare la presenza di minoranze appartenenti ad altre etnie, convivono in una pace relativa. La situazione è fragile e le divisioni restano. Forti tensioni si sono verificate proprio sul fiume Ibar, in prossimità del ponte di “Austerlitz” che collega le due parti della città di Mitrovica, rispettivamente a maggioranza albanese e serba. Il rischio di scontri è stato comunque sventato grazie all’interposizione della Kosovo Police e di EULEX, missione dell’Unione Europea per l’implementazione delle regole del diritto in Kosovo, ed all’intervento di KFOR. La Comunità internazionale ha un ruolo determinante nelle prevenzione dei disordini. Le principali frizioni nascono però, più che dall’odio interetnico, dal disagio sociale generato dalla disoccupazione, facilmente strumentalizzabile, in chiave ideologica e razziale, da chi vuole in verità destabilizzare le giovani istituzioni kosovare. La nostra missione, che agisce sul piano militare, unitamente a quella della comunità internazionale, che interviene su quelli diplomatico e politico, è di garantire un ambiente sicuro, dove si possa tornare ad investire risorse nel settore scolastico, nelle infrastrutture e nella piccola e media impresa. Il ruolo che gioca KFOR in questo “ciclo virtuoso” è fondamentale per porre in essere le condizioni di sicurezza per uno sviluppo economico-sociale che attenuerebbe, senza dubbio, qualsiasi genere di tensioni.

    Cosa rappresenta per l’Italia il Kosovo e cosa caratterizza la leadership italiana in una missione tanto delicata?

    I Balcani sono considerati un’area di importanza strategica per attività economiche e progetti di cooperazione e sviluppo comune e il nostro Paese opera in questa regione dal 1999. L’Italia si è affermata protagonista credibile grazie al suo inconfondibile stile, fatto di grande tolleranza, capacità di mediazione e forte determinazione. Non è un caso, infatti, che al nostro paese sia stata assegnata la leadership di KFOR e di altre importanti missioni quali UNIFIL in Libano ed EUTM in Somalia. Parole di stima ed affetto giungono dalle più alte cariche istituzionali del Kosovo per l’eccellente lavoro che i nostri uomini e donne “con le stellette” stanno svolgendo per la pace e l’integrazione multietnica. Ho scelto per questa missione un motto che potesse esprimere non solo il significato dell’impegno italiano in questo paese ma una comune linea di azione per tutti i militari di diversa nazionalità facenti parte di KFOR: “Example, endeavour and entrust”. Solo attraverso l’esempio, solo attraverso lo sforzo comune, solo instaurando rapporti di reciproca fiducia potremo facilitare la normalizzazione di questo paese attraverso la cooperazione ed il dialogo tra tutte le parti.

    È vero che a breve vi sarà un reggimento di alpini in Kosovo?

    Sì, il 5° Alpini della Julia avvicenderà prossimamente l’8° reggimento Lancieri di Montebello, attualmente operante alle mie dipendenze. Non posso negare la soddisfazione per tale scelta, viste le mie tradizioni alpine. Peraltro, con l’inverno alle porte, ci aspetteranno climi non meno rigidi di quelli in cui siamo stati sempre abituati ad addestrarci, temprando il nostro spirito e misurando le nostre capacità. A tutti gli alpini va il mio più sincero e caloroso saluto, consapevole che il profondo legame che ci unisce e che travalica le Alpi, travalicherà anche i Balcani, facendomi sempre sentire a casa.