Teresio, ribelle per amore

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    Il 17 gennaio 1945, appena dopo la sua scomparsa, si parlò della morte di un Santo. Nell’orrore del lager di Hersbruck Teresio Olivelli agì nello stesso modo in cui visse la sua breve vita, inseguendo un istinto di giustizia, difendendo i deboli e gli oppressi. La sua predisposizione ad aiutare il prossimo emerse naturale fin dalla gioventù – era nato a Bellagio (Como) il 7 luglio 1916 – e si fortificò con la militanza ad Azione Cattolica e alla Federazione Cattolica Universitaria Italiana. Al Collegio Ghisleri di Pavia, durante gli studi in giurisprudenza, i compagni lo soprannominarono scherzosamente “Padre Oliva” per la sua religiosità.

     

    Un suo collega di corso lo descrive così: «Sapeva soprattutto essere sempre presente quando c’era una sofferenza da lenire, un compagno da difendere. Lo ricordo, lui cattolicissimo, irrompere con tutta la minaccia del suo fisico massiccio e delle aggrottate nerissime ciglia quando per caso seppe che in quel momento la matricola Iona, ebreo, era vittima di scherzi che offendevano la sua fede religiosa.

    Era cattolico, nell’accezione larga del termine, cioè universale. Noi fummo sempre dei monchi al suo confronto». Le sue azioni seguirono sempre l’ardore del suo pensiero e si presentarono in scelte a prima vista contraddittorie, seppur legate alla turbolenta fase storica degli ultimi anni Trenta del secolo scorso, come quella dell’iscrizione al Gruppo Universitario Fascista, a cui partecipò sempre in modo critico e indipendente.

    Fu nel momento della vergognosa responsabilità del Regime, delle leggi razziali e il sacrificio di tante vite che Olivelli provò ripugnanza, se ne distaccò apertamente e decise di arruolarsi: «Parto per solidarietà con i morti, con i compagni», disse.

    Nel 1941 frequentò la Scuola allievi ufficiali di artiglieria alpina a Lucca e l’anno successivo fece domanda per andare volontario sul fronte russo. «Vivere per me è amare, patire, morire. Sì, morire. Non è forse bella la morte che uno incontra compiendo il proprio dovere di cristiano e di italiano? Si muore in terra, ma si vive in cielo», furono queste le parole di congedo rivolte alla madre Clelia nella casa di famiglia, a Mortara. Fu inquadrato nella 31ª batteria del gruppo Bergamo, 2º reggimento artiglieria e fu con i compagni della Tridentina che visse la ritirata, aiutando i feriti, confortando i più deboli e impauriti.

    L’8 settembre 1943 fu catturato e deportato in Austria, da dove fuggì. Rientrò in Italia e iniziò un periodo di clandestinità e di collaborazione con il Comitato di Liberazione e le Fiamme Verdi, durante il quale rimase fedele alla sua impronta cattolica, intesa come promotrice di una rivolta morale nella quale il prossimo è al centro, come testimonia anche la struggente “Preghiera del ribelle per amore”. Olivelli venne nuovamente catturato a fine aprile del 1944.

    Fu incarcerato a San Vittore, quindi trasferito al campo di concentramento di Fossoli, poi a Gries, Flossenbürg e infine Hersbruck in Germania, dove morì a soli 29 anni, ucciso da un aguzzino per aver difeso un compagno. Anche nelle atrocità non si tirò mai indietro, tentò di proteggere i prigionieri dalle punizioni, salvandoli spesso dalla morte. Per il suo esempio venne insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare e di quella della Resistenza.

    A metà dello scorso dicembre, proprio alla vigilia delle celebrazioni per il centenario dalla nascita, Olivelli è stato riconosciuto venerabile dalla Chiesa, dopo un lungo processo di canonizzazione, iniziato nel 1986. La Messa solenne nel Duomo di Vigevano è stata concelebrata dal cardinale Angelo Amato e dal vescovo mons. Maurizio Gervasoni.

    Tra i banchi della chiesa c’erano il nipote di Olivelli, Diego, con la propria famiglia, Venanzio Gibillini, ultimo dei superstiti deportati a Flossenbürg con Olivelli, tanti alpini e i vertici dell’Ana con il vice Presidente vicario Ferruccio Minelli, il direttore generale Adriano Crugnola e il tesoriere Gianbattista Stoppani. Hanno reso tributo ad un alpino, al difensore dei deboli, ad un uomo misericordioso che con la sua testimonianza ha contribuito a sconfiggere il male.

    Matteo Martin