Sulla nostra Preghiera

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    Sono un ormai vecchio artigliere da montagna faccio parte del Gruppo di Carisio della Sezione di Biella, del quale sono stato Capogruppo per trent’anni e socio fondatore. Credente da sempre, ho frequentato le scuole medie in seminario e dal 2015 sono diacono permanente della chiesa cattolica. Premetto che la Preghiera non è solo per gli alpini congedati ma anche per quelli in armi, che in questo momento non stanno più nelle caserme come noi, ma pattugliano porti, aeroporti e tutti i punti sensibili del nostro territorio, Vaticano compreso. Lo fanno contro il terrorismo, in pratica (a baluardo fedele del nostro territorio), grazie anche ad un’arma efficientissima che è l’intelligence (per me la migliore al mondo, tant’è che a parte qualche piccolo episodio, non abbiamo avuto episodi eclatanti). Nella nostra Preghiera chiediamo di rendere forti le nostre armi. E quali sono le nostre armi? La fede e l’amore dice la preghiera: mica obici, mortai o moschetti! Chiunque vada a vedere nei nostri magazzini della Protezione Civile troverà delle grandi quantità di pale, picconi, carriole, generatori di corrente e quant’altro serva per una buona efficienza ed autonomia operativa per qualsiasi emergenza. Sicuramente non troverà obici, mortai o fucili da guerra, anche se qualche volta servirebbero contro la estenuante burocrazia. Ecco il segno del nostro combattere, oltre alle nostre braccia e soprattutto il nostro cuore, carico di solidarietà. Voglio terminare con una nota positiva: devo porgere il mio ringraziamento al vescovo di Ivrea, per aver preso posizione in maniera favorevole riguardo alla nostra Preghiera.

    Don Ernesto Ratti

    Caro amico, credo che qualsiasi persona di sufficiente intelligenza sia in grado di capire che gli alpini, con la loro preghiera, non condizionano certo la cultura in senso bellicoso. Caso mai è il loro esempio a condizionare nel bene il sentire di tante persone. Che poi ci siano preti che si rifiutano di capirlo mi fa venire in mente un detto che, dalle tue parti, dovrebbe suonare più o meno così: “lavei la testa a n’asu, ta sgheri acqua, temp e saun”. Che tradotto significa: lavare la testa all’asino diventa uno spreco di acqua, tempo e sapone.

     

    Sono un amico degli alpini del Gruppo Chiopris Viscone, Sezione Palmanova, tesserato da quando è stato fondato il nostro Gruppo e socio fondatore. Per l’ennesima volta leggo una lamentela sulla Preghiera dell’Alpino sul numero di febbraio. Rimango a dir poco sbalordito, se questo è il pensiero di un alpino, che non ha cenno storico del momento in cui è stata scritta. Il mio pensiero: giù le mani una volta per tutte dalla Preghiera dell’Alpino! Che non può essere apocrifata (mi si passi il termine) se non altro per rispetto a chi ha dato la propria vita per difendere i nostri confini nelle due guerre del secolo scorso. Dovremo forse allora modificare anche qualche poesia, di Ungaretti, di Manzoni o di qualche altro? O il testo di qualche brano musicale? La storia e i cenni storici vanno riprodotti quali sono e non modificati come si tende a fare in questi ultimi tempi. Ringrazio per l’accoglienza.

    Eugenio Cettolo

    Come vado ripetendo da tempo, adattare al presente, o alle dittature culturali delle minoranze, i documenti della storia, equivale a distruggerli. E questo non è accettabile.

     

    Caro direttore, io da sempre quando posso, leggo con orgoglio ed emozione la nostra Preghiera davanti al mio Gruppo, in particolare alla celebrazione del 4 Novembre in occasione della commemorazione dei nostri Caduti. Personalmente non ne cambierei una sola virgola e questo per una infinità di ragioni. Siamo innanzitutto una associazione d’Arma (e che Arma!), non un circolo di assistenti sociali o di sacrestani, pur con tutto il rispetto. Il fatto di essere degni di portare le armi deve essere a mio giudizio visto come un segno di onore, esattamente come lo era per il cavaliere antico. Egli infatti se ne serviva solo per difendere il debole e opporsi con la forza a soprusi e ingiustizie. Nella nostra Preghiera si legge che siamo “armati di Fede e di Amore”. Tradotto significa un atteggiamento di ossequio di figli per il Padre da un lato, di dedizione alla propria terra e alla propria gente dall’altro. Direi un buon modo di mettersi al servizio della Polis, che rispecchia i contenuti e lo stile della nostra cara famiglia alpina, i nostri valori tradizionali testimoniati dai nostri veci. In quest’ ottica mi pare che parlare di un presunto “fascismo dilagante” sia quantomeno stonato se non addirittura offensivo.

    Franco Visintainer, Gruppo di Villazzano, Sezione di Trento

    Caro Franco, giusto per restare alle considerazioni finali del tuo scritto, credo che sia ora di finirla di offendere, dando del fascista a chi sente il dovere e l’onestà di parlare di Patria, di difesa, di valori… Nella mia famiglia abbiamo conosciuto la violenza del Fascismo (di cui esistono anche testimonianze scritte) e sono cresciuto sentendo ciò che vuol dire la dittatura e la mancanza di libertà. Servirsi di questa offesa per chiudere la bocca a qualcuno mi sembra semplicemente una forma di dittatura del pensiero che rifiuta di argomentare, preferendo le scorciatoie dell’insulto e dei luoghi comuni.