Sul Golico, dove il tempo s'è fermato

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    Pellegrinaggio di un gruppo di giovani sulla montagna greca divenuta un simbolo del sacrificio degli Alpini

    di Ilario Merlin

    È difficile esprimere un sentimento e lo è ancor di più quando cambia una parte della tua vita. Il mio nasce da un viaggio che mi ha portato in cima a una montagna maledetta: il Golico Che brividi solo a scriverne il nome. L’intento di questo articolo non è quello di riportare la nuda cronaca di un viaggio (sarebbe riduttivo per la memoria di migliaia di Alpini che là trovarono la morte) ma di condividere con voi ciò che la montagna mi ha trasmesso: l’orgoglio ed un sentimento di profondo rispetto per i nostri Alpini. Per prepararmi al viaggio mi sono immerso nella lettura de: I fantasmi della Vojussa, il diario scritto da don Bruno, cappellano del Cividale , un libro che doveva semplicemente aiutarmi a comprendere lo spirito di quei luoghi e che, invece, non ha fatto che accrescere di giorno in giorno il desiderio di visitare quei posti, teatro di una delle pagine più tristi della storia leggendaria della Julia.

    Alle pendici della montagna, un pastore albanese ci indica l’attacco della mulattiera militare che portava i nostri alpini sui campi di battaglia: sono le 18 circa e cominciamo l’ascesa alla montagna. Sono trascorsi 65 anni ma sembra che il tempo si sia fermato allora: caricatori e colpi di artiglieria affiorano lungo tutto il percorso, mi fanno pensare a scontri ancora in atto e a scenari di battaglia intatti perché io giovane alpino possa osservarli per pochi momenti. È strano, per un istante ho la sensazione di aggirarmi in un museo ma qui nulla è ricostruito, nulla è fedele imitazione della realtà, questi non sono residuati raccolti in anni di ricerche da un recuperante, qui tutto è rimasto come allora ed ogni pietra, ogni sussurro è storia, una storia che ci invita a ricordare e a celebrare uomini semplici, eroi comuni: gli Alpini della Julia. Arrivano le 21,30 e il cielo comincia ad annuvolarsi, siamo stanchi. Ormai manca poco per raggiungere quota 1.615.

    Troviamo un albero sotto il quale bivaccare e decidiamo di fermarci per trascorrere la notte. La sacralità del luogo ci impedisce anche solo di parlare ad alta voce; scambiamo qualche parola e ci abbandoniamo al sonno dedicando una preghiera ai nostri Caduti. Ore 6 del mattino, siamo nella storia: l’altitudine di 1.615 è raggiunta! Schegge, granate, proiettili e bombe a mano ci circondano, ci sembra di essere statuine viventi di un presepe che non racconta la lieta novella, ma il dramma che in questo luogo si consumò 65 anni fa. È impossibile descrivere l’emozione che si prova nello stare lì, dove tra i Caduti c’è anche il tenente Marchi. Ovunque si volga lo sguardo si vede le vampa della battaglia; troviamo gavette, un elmetto, forchette e coltelli, una Breda, colpi di artiglieria inesplosi, una riservetta di colpi da mortaio, un posto di medicazione, tutto racconta, anche il più piccolo particolare. Cerchiamo di riconoscere i luoghi confrontandoli con le foto d’epoca che abbiamo con noi, così da poterli fotografare a distanza di anni. Il nostro scopo è raggiunto.

    Un pensiero triste mi riempie la testa e subito realizzo che in questo confronto tra passato e presente esiste una sostanziale, terribile, differenza: oggi quei luoghi non sono più straziati dai corpi dei nostri Alpini, al loro posto, ovunque, ci sono fiori, di tutti i colori, come se la Natura avesse voluto abbellire quelle semplici tombe, come se, a suo modo, avesse voluto onorare la memoria di quei giovani, trasformando l’orrore in bellezza. In quei momenti penso che il canto Il Golico con la frase se la Julia non fesse ritorno che, fino a quel momento ho ascoltato con distaccata passione , ora ha un significato profondo

    Da quel giorno fatico a trattenere le lacrime quando la sento cantare. Quanta dedizione al dovere è andato perduto, quanto spirito di patria, quanto amore, quanto sacrificio per salvare i compagni la meglio gioventù che va sotto terra se ne è andata per sempre ed in pochi sono tornati a raccontare i loro patimenti, la loro passione, le loro storie Il Golico è un monolite che esce dalle viscere della terra per unirsi al cielo in un lungo percorso. Credo di poter solo immaginare ciò che hanno passato su quella montagna aspra, e nera gli Alpini che hanno scritto una delle pagine più tristi ma anche più gloriose della Divisione Julia. Su quelle rocce intrise di sangue si possono ancora leggere i loro nomi, nomi che dovranno essere ricordati da tutti noi, affinché il Golico sia santuario e luogo di memoria collettiva.

    Dopo aver esplorato il costone del Cividale , del Tolmezzo , del Gemona , cominciamo a scendere portando nei nostri cuori il rammarico per non aver potuto perlustrare ogni singola insenatura, ma il tempo non ci permette di attardarci ulteriormente. I luoghi da visitare sono ancora molti: Ponte di Perati, passo Furka, Erseka, Distrato, Pades Elleuterio, Konitsa . Ci vorrebbe ore e ore per raccontare quello che ho registrato con gli occhi e con il cuore, per dire dell’accoglienza ricevuta: ovunque ci siamo fermati è sempre stata eccezionale, e la frase che abbiamo sentito ripetere più volte è sempre stata la stessa: Alpini buoni, Tedeschi cattivi, una faccia una razza! ; soprattutto da parte delle persone anziane, che avendo vissuto il periodo della guerra, hanno ancora vivo nella loro memoria il ricordo di quegli Alpini che con la gente del posto, i civili, le donne ed i bambini sono sempre stati gentili e corretti, uomini e non conquistatori, soldati che hanno obbedito agli ordini, ma che hanno saputo essere forzati ospiti di un’altra terra e di un altro popolo, con rispetto e onore.

    È difficile esprimere un sentimento e lo è ancor di più quando cambia una parte della tua vita, perché grazie a questa magnifica avventura sono tornato a casa con la ricchezza dell’esperienza, la saggezza di chi impara, l’umiltà di voler raccontare quel messaggio che gli Alpini della Julia hanno inciso sulla pietra.