Sport e memoria

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    Per gli alpini l’evento sportivo più importante dell’anno si è concluso sotto uno splendido sole. Era nato con auspici ben più scoraggianti, sia nella cerimonia di avvio al Centro Giovanile della città del Grappa, sia alla partenza della prima gara da Villa Angarano che per molti è ancora detta Bianchi Michiel. Poi la caparbietà e la buona volontà delle penne nere mobilitate a supporto dei circa 1.800 concorrenti nelle diverse discipline hanno aiutato il miracolo: è andata!

    Una vera e propria cavalcata trionfale, di cui daremo conto in queste pagine. In un primo momento era sembrato che Giove pluvio ce l’avesse con noi, costringendoci, dopo un’attesa estenuante, a ripiegare sul piano B per l’avvio delle Alpiniadi: invece di una bella piazza ci siamo accontentati di una location più sobria, la pista di hockey sulla quale si stavano allenando alcune ballerine su pattini a rotelle. Una soluzione inattesa, quindi, ma oltremodo gradita, che ha fatto decollare sul piede giusto la manifestazione alpina, la cui organizzazione ha coinvolto tutti i Gruppi della Sezione.

    La dichiarazione ufficiale di apertura delle Alpiniadi, proclamata dal responsabile nazionale della commissione sportiva Mauro Buttigliero ha fornito l’occasione, sia al Presidente di Bassano Rugolo che al Presidente nazionale Favero, di delineare i tratti della filosofia alpina che sta alla base di questi Giochi. La continuazione e la vivificazione dei principi della memoria e della solidarietà che devono essere i fari conduttori del nostro operare anche in tempo di pace. In sostanza le Alpiniadi, con il motto “la guerra divide i popoli, lo sport li unisce” che è stato sottolineato da più parti, creano le premesse per un mondo migliore.

    Di qui si spiega anche la giusta indignazione del Presidente Favero che in più occasioni ha rilevato come gli appuntamenti sul Grappa e in occasione delle premiazioni non siano stati caratterizzati da una folta presenza di penne nere, come Favero ed anche altri dirigenti si aspettavano. Come diceva Cesare ai bei tempi di Roma “il dado è tratto” e non si torna più indietro. Semmai si tratta di trovare il modo di rimpolpare con obiettivi coerenti le schiere di alpini che si stanno assottigliando a causa della mancanza della leva obbligatoria. Ora percorreremo queste Alpiniadi 2018 a più voci, cercando di trasmettere quanto più possibile lo spirito che da esse promana.

    Gianfranco Cavallin