Scuola non è più tabù

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    “We stay to make, not making to stay! Thank you to coming and hard working of, Alpini” (letteralmente “restiamo per fare, non facciamo per rimanere! Grazie per essere venuti e per il duro lavoro, Alpini). Con questa scritta sulla lavagna di un’aula la delegazione dell’ANA viene accolta da un centinaio di studentesse del liceo femminile Mehri Heravi, in cui dodicimila ragazze dai 7 ai 19 anni possono avere un’istruzione scolastica, un vero tabù per l’Afghanistan fino a qualche tempo fa.

    Inglese, informatica, matematica superiore e cucito, sono le principali materie insegnate dalle trecento docenti dell’istituto, alcune delle quali vivono all’interno della scuola. Un altro mattoncino sulla costruzione e sulla crescita dell’Istituto è stato posato grazie alla collaborazione tra l’Associazione Nazionale Alpini e la brigata Taurinense che insieme hanno raccolto oltre 22mila euro, frutto della solidarietà dei visitatori delle “Cittadelle degli Alpini”, allestite durante le Adunate nazionali di Torino nel 2011 e di Bolzano, lo scorso anno.

    Gran parte dei fondi, circa 15mila euro, sono stati investiti per sistemare e allestire un’aula multimediale, dotata di 31 computer con cuffie collegati a internet, che darà nuovo slancio alle attività didattiche. Il presidente Corrado Perona ha tagliato il nastro inaugurale della nuova aula con il governatore di Herat Daud Shah Saba e il colonnello Aldo Costigliolo del 1° reggimento artiglieria da montagna, comandante del Provincial Reconstruction Team- CIMIC Detachment, l’unità del contingente italiano specializzata in progetti di assistenza.

    Nel corso della cerimonia, presenti alcuni notabili civili e religiosi di Herat, il presidente Perona, il col. Costigliolo e il governatore Saba hanno donato alle studentesse zaini e materiale scolastico, anch’essi acquistati grazie ai fondi raccolti in Italia. “I popoli per crescere hanno bisogno di assistenza, non di guerre – ha sottolineato nel suo intervento il presidente nazionale. Ma non è vietato nulla a voi, che siete un popolo di buona volontà, di crescere e di vivere con dignità la vita di tutti i giorni”. “È un piacere – ha proseguito Perona – contribuire alla crescita di coloro che saranno future mogli e mamme e che accudiranno e faranno crescere la cosa più bella e più preziosa, i figli”. Un messaggio di speranza per un Paese piagato troppo a lungo dalle angherie verso le donne, costrette all’allontanamento da qualsiasi attività sociale.

    Nell’istituto, accanto ai problemi correlati agli edifici e agli spazi didattici da sistemare ci sono dunque anche quelli legati a questioni sociali e culturali che ostacolano la frequenza delle bambine e delle ragazze alle lezioni, fino ad impedirne la conclusione del ciclo di studi. In passato il muro contro l’emancipazione femminile è stato scalfito solo in rari casi. Negli annali dell’Istituto Mehri Heravi, nato nel 1945, risulta infatti che abbiano studiato personaggi femminili che si sono affermati nella società civile di Herat, come il ministro del Lavoro e degli Affari sociali Amenah Afzaly o Maria Bashir, presidente della Corte d’appello, prima e unica procuratrice capo di tutto il Paese, più volte scampata ad attentati non solo per il suo operato contro la corruzione, ma anche per il fatto di essere semplicemente una donna.

    Il governatore Saba ha ringraziato il presidente Perona donandogli un quadro che ritrae la Vergine Maria, una figura venerata anche dai musulmani. Terminata la cerimonia nell’aula, alpini e autorità hanno raggiunto il cortile per la posa della prima pietra della guardiola destinata al personale di vigilanza dell’istituto. Palmi rivolti al cielo per una preghiera propiziatoria. Alcune ragazze distribuiscono caramelle mentre altre, vestite con la divisa da scout, sventolano delle bandierine dell’Afghanistan. Poco dietro, accanto ad un’aiuola, una famiglia osserva la scena. C’è il capo famiglia, la madre con il chador a coprire tutto il corpo, la figlia e la nipote con il più moderno hijab. Anche questo è un segno dei tempi che cambiano.

    Giubbotto ed elmetto, usciamo dalla scuola nelle macchine blindate, scortati dai fucilieri del San Marco. Qualcuno ha scritto “Yankee go home!”, in rosso, sul muro perimetrale dell’istituto. Stessa lingua della scritta sulla lavagna della scuola, un mondo diverso.

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    L’intervento al liceo Mehri Heravi è stato solo uno dei tanti che sono stati realizzati negli anni dal Provincial Reconstruction Team, costituito da 28 persone tra coordinatori, ingegneri, specialisti per le visite ai cantieri, il personale di protezione e quello amministrativo. Dal 2005 sono stati investiti circa 41 milioni di euro in 362 progetti nella Regione Nord-Ovest a guida italiana, un immenso territorio di 60mila chilometri quadrati in cui la maggior parte delle strutture sono state realizzate nell’ambito dell’istruzione, delle infrastrutture con più di 800 pozzi e dei trasporti con oltre 110 chilometri di strade e 6 di ponti.

    “Di norma i cantieri aperti vengono conclusi in massimo di 180 giorni – sottolinea con soddisfazione il col. Costigliolo – lavorando minimo sei giorni la settimana con sole maestranze e ditte locali”. Una delle regole principali è infatti quella di non utilizzare nulla che non sia reperibile nel Paese, allo scopo di sviluppare l’economia locale. La crescita infrastrutturale del Paese, iniziata da tempo, ha dato impulso anche al progresso economico e sociale.

    Tra le tante strutture completate ad Herat c’è l’ospedale pediatrico, il bell’edificio del dipartimento culturale, il terminal dell’aeroporto civile e il carcere femminile, una vera e propria eccellenza, che consente alle detenute di riabilitarsi svolgendo varie attività: corsi di alfabetizzazione, di inglese, di computer, lezioni di cucito e di estetica, oltre all’attività legata all’artigianato, con il ricavato della vendita dei prodotti che viene riconsegnato alle detenute. Per le madri in carcere c’è anche la possibilità di accudire i figli fino all’ottavo anno d’età e di usufruire di un asilo nido.

    Le donne di Herat hanno anche a disposizione un Centro sociale in cui possono aprire un negozio e svolgere altre attività senza avere complicazioni. In città la voce delle donne viene inoltre amplificata grazie a Radio Shahrzad, dal nome dalla principessa delle “Mille e una Notte”, realizzata con i finanziamenti di un imprenditore locale. È diretta da Somia Ramish e ci lavorano altre quindici giornaliste che raccolgono i messaggi delle donne che telefonano e raccontano la loro esperienza.

    “L’elenco dei progetti ancora da realizzare è molto lungo – ribadisce il col. Costigliolo – ma noi ci affidiamo all’autorità locale che ci segnala le priorità”. Nel 2013 sono in programma altre 16 strutture per un investimento di 2.400.000 euro. (m.m.)