Scritti… con la divisa

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    In questa puntata raccontiamo le vicende belliche di Luigi Bonetti, classe 1917, alpino dell’Intra, residente a Lonate Pozzolo (Varese) dal 1938 ma di origini bergamasche. La crisi economica mondiale degli anni Trenta ebbe ricadute anche sull’economia dell’Alta Valle Seriana dove operavano alcune società minerarie, italiane e straniere. Nel contempo, per ragioni politiche, le migrazioni stagionali verso la Svizzera dei pastori e nell’Alta Savoia dei boscaioli, mete di tanti montanari bergamaschi non erano più possibili. Peggio ancora l’emigrazione verso paesi stranieri, come l’Australia meta di tanti minatori della Val del Riso. Ecco che allora interi nuclei familiari si spostarono verso zone italiane carenti di mezzadri in agricoltura. Tra questi vi fu anche la famiglia di Angelo Bonetti (classe 1872) – con la moglie Giuditta Pasini e gli otto figli Bortolo, Maria, Beatrice, Giuseppe, Luigi, Giacomo, Alessandra e Caterina – che nel 1938 si trasferì dalla contrada Ripa Alta di Gandellino (dal 1968 passata a Gromo) a Lonate Pozzolo, dove si stabilì.

    Erano in questo paese, quando il figlio Luigi Bonetti fu chiamato alle armi il 25 maggio 1938 e assegnato al 4º Alpini, battaglione Intra, 7ª compagnia “di Dio”. Tale reparto operò sui fronti francese nel 1940; greco-albanese dal 9 gennaio al 5 aprile 1941; albanese-jugoslavo dal 6 al 18 aprile 1941; sui Balcani in territorio jugoslavo dal 20 gennaio 1942 all’8 settembre 1943. Luigi faceva parte del plotone mitraglieri, ma in più occasioni si prestò a tenere a bada la Grisa, la mula più ribelle del battaglione tanto che fu promosso “drugiòt”, conducente, e iniziò ad esserlo, arte che aveva imparato fin da ragazzo sui sentieri dell’Alta Valle Seriana. Da allora fu addetto alle corvée dalla sede del battaglione alla prima linea del fronte. In una di queste occasioni, racconta la nipote Sara, nell’attraversare un torrente in piena scivolò e si ferì con la baionetta ad una gamba e la mula si lasciò cavalcare e lo riportò al battaglione.

    Nel frattempo anche il fratello Giacomo veniva arruolato nell’Intra, destinato anche lui al fronte jugoslavo. Luigi in data 15 maggio 1942 scrive alla famiglia: “P.M. – Carissimi tutti, sempre ricordandovi, invio affettuosi saluti a tutti, la mia salute è ottima come spero di voi tutti, sabato aspetto anche Giacomo”.

    Il primo agosto 1942 rispondono ai genitori: “Carissimi, abbiamo ricevuto la vostra cara lettera e mi chiedete se abbiamo ricevuto il pacco mentre vi ho già scritto 3 volte che l’abbiamo ricevuto, io non capisco più niente di questa posta. Noi di salute stiamo bene, ora comincia a far caldo anche qui, e l’acqua si trova ogni 20 chilometri ma questo è niente, basta portà a ca almeno ol telar. Non mi veniva più in mente di dirvi che 2 mesi fa ho trovato il Santo quello del Giuditta e ol Tomaso del Fonsio”. I due fratelli si auguravano di portare a casa almeno il telaio, le ossa. Il 17 settembre 1942 Luigi scrive anche a nome del fratello Giacomo: “Sento che di salute state bene così pure è di noi due, sento pure che Giuseppe (altro fratello) è partito per l’Albania, cosa volete bisogna farsi coraggio, tanto a casa non poteva aiutarvi […] Vi ho spedito a casa £. 200, spero che gli altri li avrete ricevuti”. Poi continua: “per venire a casa in licenza andrà ancora alla lunga e se avete proprio bisogno per fare Sanmartino provate a far fare una carta e mandarla qui ma bisogna che sia firmata dal Maresciallo, ma sarà difficile. Dunque non pensate male che noi adesso stiamo bene e non corre nessuno pericolo e meglio passare l’inverno qui che venire in Italia e per poi partire per un altro fronte, abbiamo anche noi tanta voglia di riabbracciarvi tutti, ma bisogna avere pazienza e coraggio. Quelle mutande che mi avete mandato sono già tutte rotte e noi non siamo capaci di giustarle e se viene a casa quello li che vi ho già detto, li manderò a casa. Avrei bisogno del filo per cucire ma dicono che non si può spedire pacchi. D’altro non ho bisogno di niente, calze ne abbiamo, abbiamo giusto bisogno che ci mandino a casa per sempre. Aspettiamo ancora presto vostre care notizie, per ora ricevete tanti baci da chi sempre vi pensa. Luigi e Giacomo”.

    L’ultima lettera scritta da Luigi porta la data dell’11 luglio 1943: “Carissimi tutti, è già qualche giorno che abbiamo ricevuto la vostra cara lettera, godiamo nel sentire che state bene, come è sempre di noi. Vi fò noto che non mi trovo più con Giacomo da due giorni, dato che io son partito e lui è rimasto alla base, ma è solo per 7 o 8 giorni e poi ritorno di nuovo in sua compagnia. Noi ora stiamo bene ed è ritornato tutto calmo, dunque non pensate male e fatevi coraggio che verrà anche il giorno del rimpatrio. Ma immagino quando avrete da fare poveretti, vi raccomando di non strapazzarvi troppo, specialmente con questo caldo che fa”.

    Da quel giorno alla famiglia non giunse più alcuna lettera. La divisione Taurinense rimase la sola unità alpina in Montenegro, impegnata a presidiare una vasta zona e a svolgere attività di controguerriglia. Tanti alpini si chiedevano il perché e per quanto, ma erano soldati e dovevano ubbidire. Alcuni si rassegnavano alla sorte: tanto, non viviamo mai più di un giorno alla volta. L’8 settembre 1943 l’Italia firmò l’armistizio ed i soldati della Taurinense diventarono “figli di nessuno”. L’Intra era a Niksic e fino al 4 ottobre lottò contro i tedeschi, ma venne sopraffatta nella piana di Dragali e cessò di esistere come unità combattente. Fu un periodo di sacrifici indicibili, di lotta contro tutti e contro tutto, privi di ogni comunicazione con l’Italia e con i comandi superiori, con carenza di munizioni e di viveri. Tutto ciò fiaccò la resistenza del battaglione, completamente isolato e circondato dai tedeschi, che cessò di combattere il 4 ottobre.

    I fratelli Luigi e Giacomo furono fatti prigionieri. Gli alpini che riuscirono a darsi alla macchia proseguirono i combattimenti contro i tedeschi nella divisione italiana partigiana Garibaldi, costituita il 2 dicembre 1943 a Pljevlja dai superstiti della divisione alpina Taurinense e della divisione di fanteria Venezia. Questi combattenti rientrarono in Italia a marzo 1945 indossando ancora le loro divise lacere, fieri della loro scelta. I prigionieri, invece, furono portati a Duisburg, campo di concentramento in Germania. Luigi raccontava quanto fosse stata dura la vita in quel periodo. Dopo essere stati obbligati a lavori forzati, patito la fame, subito angherie d’ogni tipo, nel 1945 furono liberati dagli inglesi. Luigi aveva perso 50 chili, ma la sua forte fibra montanara lo riportò in forze. Nel 1947 sposò la sua cara Maria che gli regalò quattro figli. E, come si dice tra alpini, “andò avanti” a 87 anni suonati.

    a cura di Luigi Furia