Santa Zita: chiesetta simbolo di pace

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    Costruita in tre mesi, abbattuta, ricostruita, demolita e finalmente ricostruita definitivamente. Sembra quasi una stranezza per una chiesetta ma è così. Santa Zita al Passo Vezzena in Trentino ha subito questa sorte in 90 anni. Da semplice tempietto di culto è ora assurta a simbolo di fratellanza tra i popoli in occasione del 90º della fine della Grande Guerra. E gli alpini della sezione di Trento ne sono gli artefici con oltre 6.000 ore di lavoro gratuito.

    L’inaugurazione non poteva essere che solenne e affollatissima con un corteo di 1.300 penne nere, cinquanta Kaisersch tzen, cento fanti e numerose rappresentanze di associazioni d’arma anche austriache e polacche. Ma soprattutto autorità e personaggi che hanno conferito alla cerimonia il carattere di evento storico: dall’arcivescovo di Trento monsignor Luigi Bressan al presidente della Giunta provinciale Lorenzo Dellai, da Anton Pertl (in rappresentanza del governo del Tirolo) al sottosegretario Mario Mantovani (per il governo italiano) insieme a parlamentari trentini.

    Naturalmente molti dirigenti delle penne nere, con i consiglieri nazionali Antonio Cason, Alfredo Nebiolo e Silvano Spiller, oltre al presidente della sezione di Trento Giuseppe Demattè. E poi il principe ereditario d’Austria arciduca Peter Karl d’Asburgo, nipote di Carlo I (beatificato da Giovanni Paolo II nel 2004), insieme all’arciduca Georg d’Austria e al principe Franz Joseph von Auersperg. Un evento storico per il Trentino e l’Italia, perché con gli alpini è stato posto un nuovo importante tassello nella costruzione della pace tra popoli che un tempo erano nemici.

    La chiesetta di Santa Zita venne costruita sul passo Vezzena nel 1917, e inaugurata il 15 agosto, giorno dell’Assunta (Mariä Himmelfahr). La dedica ufficiale era: Cappella commemorativa dell’imperatrice Zita, sulla strada militare di Val d’Assa (Vezzena) simbolo della resurrezione a nuovo splendore, a ricordo della vittoriosa offensiva di maggio . Di altro tenore la dedica della recente ricostruzione: Santa Zita simbolo di pace e fratellanza fra i popoli . E proprio con questa motivazione dopo dieci anni di iter burocratico e poco più di un anno di lavoro, oltre 200 alpini (e volontari, anche di alcuni gruppi vicentini) hanno contribuito con la propria fatica e in forma gratuita alla sua ricostruzione così come era in origine.

    Esistevano solamente alcuni gradini in mezzo all’erba. Ma le ricerche effettuate hanno permesso di ritrovare progetti originali, documenti, fotografie, racconti e descrizioni. L’impegno fu tale che si riuscì a redigere un nuovo progetto praticamente identico a quello di 90 anni fa. E la chiesetta inaugurata il 17 agosto scorso è una copia fedele di quanto realizzato dagli austriaci. Nei ricordi del maggiore Georg Eineder, maggiore dei Kaisersch tzen durante la Seconda Guerra Mondiale (presente alla cerimonia del 17 agosto scorso) era impressa appunto la chiesetta posta subito dopo il passo verso Asiago, sul lato sinistro della statale, circondata da pascoli, malghe, abetaie e più in alto pini mughi e brughiere di ginepri, in tempo di guerra attorniata dalle baracche militari e attigua al cimitero .

    La Vezzena è anche stato teatro della storica strage del Basson il 24 agosto 1915. Vi morirono centinaia di fanti soprattutto, ma anche di alpini: la 34ª Divisione comandata dal generale Oro era infatti composta dalla brigata Ivrea 153ª 154ª fanteria, dalla brigata Treviso 115ª 116ª fanteria e dal battaglione alpini Val Brenta Gruppo Oneglia di artiglieria da montagna e da una Compagnia di Zappatori del Genio. Furono decimati e una stele li ricorda. Oggi, grazie agli alpini trentini, queste zone di guerra tornano ad avere la loro chiesetta come simbolo di fratellanza e di pace. E per ricordare quegli eventi, alcuni capitoli sono riportati nel libro Chiesa di S. Zita St. Zita Kapelle in Vezzena 1917 2007 , di Marco Zeni, edito dalla Sezione ANA di Trento.

    La cerimonia del 17 agosto scorso è stata espressione di quanto la chiesetta sia stata voluta, di come sia stata realizzata e soprattutto del suo significato. Dal Passo Vezzena alla chiesetta, poco più di mille metri, percorsi dal corteo tra due ali di folla: alpini, fanti, delegazioni, curiosi, visitatori, escursionisti: tutti uniti nella manifestazione. Tanta commozione quando il Tricolore è salito per primo sul pennone alle note dell’Inno di Mameli. Poi la bandiera austriaca accompagnata dall’inno nazionale e per finire la bandiera europea sulle note dell’inno alla pace. E tutti sull’attenti, a fissare quei tre simboli uniti per un futuro di pace.

    Così l’apertura della cerimonia, proseguita con la celebrazione della Messa presieduta dall’arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan. Le parole per inneggiare alla fratellanza sono state il filo conduttore di tutti gli interventi: dall’arcivescovo Bressan al presidente Dematté, dal sindaco di Levico Terme (competente per territorio) Carlo Stefenelli al vicepresidente nazionale dell’Associazione dei Fanti Attilio Gomitolo. E via via gli altri, compreso Hans Peter Gartner (rappresentante delle associazioni d’arma austriache). Tutti a esprimere il plauso per l’opera. Dopo la benedizione del monumento con i tre pennoni, la consacrazione e benedizione della chiesa e la sua consegna al parroco di Luserna (competente per territorio) don Lorenzo Gretter. Ma anche la consegna da parte del principe ereditario Peter Karl d’Asburgo di una reliquia del nonno (e beato) Carlo I che visitò la zona durante i lavori di realizzazione della chiesetta nel 1917.

    Queste consegne sono state ufficializzate dalla firma dei relativi documenti. Nelle parole del presidente Giuseppe Dematté, sono stati condensati i molti anni che si sono resi necessari alla realizzazione del manufatto e soprattutto il suo significato: ricordare tutti i Caduti in guerra con uno specifico riconoscimento agli oltre diecimila trentini che morirono sotto la bandiera austro ungarica. Dematté ha poi ringraziato gli oltre 200 volontari alpini (e non) che hanno lavorato alla realizzazione della chiesetta, gli enti pubblici e privati che hanno generosamente contribuito comprendendone appieno la motivazione. Ha ricordato che la campana era stata donata da associazioni e privati con in prima fila la famiglia austriaca Spielmann e che l’artefice principale della riuscita dell’ Operazione Santa Zita è stato Maurizio Pinamonti, vicepresidente vicario della sezione Ana di Trento.

    Ha ringraziato l’ingegner Pierluigi Coradello, autore del nuovo progetto. Davanti alla chiesetta, il monumento che ricorda tutti i Caduti in guerra. Il ricordo dei Caduti ci aiuta a mantenere la pace , è scritto su di esso; è formato da due blocchi di pietra contrapposti che vogliono rappresentare in maniera stilizzata un cavallo di frisia, nonché la vita (pietra eretta) e la morte (pietra a terra). Tra esse rinasce un fiore che racchiude un unico elemento e cioè l’iniziale di pace shalom. Al visitatore l’invito a meditare cercando la pace (la sfera sospesa) sempre in bilico per l’insipienza dell’uomo.

    Da ricordare ancora che tutto l’orgoglio alpino per la realizzazione della chiesetta è stato espresso dalla presenza di quasi 300 gagliardetti provenienti oltre che dal trentino anche dal Veneto e dalla Lombardia, dieci vessilli sezionali, decine di gonfaloni di associazioni d’arma preceduti da quelli dei Comuni di Levico Terme e di Luserna. E che la cerimonia è stata accompagnata dal Coro Sezionale Ana e dalla Fanfara Sezionale Ana. A 90 anni dalla fine della Grande Guerra, la chiesetta dedicata a Santa Zita rappresenta uno dei principali eventi che caratterizzano in Trentino (ma anche in Italia) le celebrazioni della ricorrenza.

    La Grande Guerra ha significato il ricongiungimento del Trentino Alto Adige all’Italia, ma anche la morte di migliaia di soldati sotto le rispettive bandiere. A Passo Vezzena si è celebrata la pace riconquistata e davanti alla chiesetta di Santa Zita, in un periodo di pericolosa disgregazione sociale, gli alpini, ancora una volta, hanno saputo dimostrare che la volontà di fare del bene, di ritrovarsi uniti nella fratellanza, c
    ‘è ancora ed è più viva che mai.

    Roberto Gerola
    alpino e direttore del Doss Trent , periodico della Sez. ANA di Trento

    Pubblicato sul numero di ottobre 2008 de L’Alpino.