Salire al Col di Lana

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    Conclusa la bella manifestazione in Adamello sono partito con cuore sereno da Sonico per Arabba (Belluno), contento di trascorrervi qualche giornata di riposo. L’ambiente dolomitico, unico nel suo genere, mi ha accolto come in un abbraccio tra la Marmolada e il Gruppo del Sella. Mi aspettava però anche un abbraccio umano, o meglio alpino, quello del 1º luogotenente Vittorio Pallabazer, comandante della base logistica del comando Truppe Alpine. «Sarebbe bello che partecipassi alla cerimonia di domenica 4 agosto al Col di Lana» mi disse il luogotenente. Forse si aspettava un repentino “Signorsì!”, ma la mia risposta virò sul più attendista «vedremo…». In realtà volevo calcolare attentamente lo sforzo fisico richiesto per arrivare lassù.

    Al Col di Lana, infatti, si sale scarpinando sul sentiero che porta a quota 2.450. Decisi che dovevo andarci, anche perché pensavo e ripensavo alle vicende belliche della Grande Guerra sul Col di Lana. Quei giovani caduti e feriti lassù cento anni fa chiamavano ad un doveroso omaggio in loro memoria. “Per non dimenticare” e gli alpini non dimenticano. Mi sono messo in marcia in compagnia di Pallabazer, don Lorenzo (già cappellano delle Truppe Alpine) e Santo, un giovane palermitano trapiantato sulle Dolomiti, alto quasi due metri e con passo da un metro e venti, un alpino mancato. Una salita alleggerita da qualche sosta forzata per il fiatone.

    Quasi al termine del percorso, quando in lontananza scorgi la cima del colle, a distanza di qualche decina di metri tra loro e come incollate sul pendio, si trovano tre targhe in marmo che ricordano altrettanti fatti significativi avvenuti in quel periodo di guerra, una piccola testimonianza per gli 8mila morti sul Colle. Da lì a poco si intravvede un rifugio costruito dal Gruppo di Livinallongo, una piccola cappella e più in alto una croce. Elementi che riconduco immediatamente a significati simbolici quali l’accoglienza (il rifugio), la memoria (la cappella) e la preghiera (la croce). Essere lassù, immaginando l’inimmaginabile, si ritorna indietro di cent’anni e sembra di udire le voci di quei giovani italiani e austriaci, gli spari, il brillare delle mine e poi il silenzio della morte.

    La cerimonia e la Messa sono celebrate proprio nel cratere prodotto dallo scoppio di una tremenda mina che il 17 aprile 1916 riuscì a modificare il profilo del Colle. Una celebrazione semplice e profonda, in un silenzio surreale, circondati dalla maestosità delle più alte cime delle Dolomiti. Pochi e brevi i discorsi delle autorità: per l’Ana il saluto è stato portato dal Capogruppo e dal Consigliere nazionale Michele Dal Paos, quale referente per le Sezioni della zona. Apprezzabile anche la partecipazione di una squadra di soldati austriaci in servizio accanto a quella dei nostri alpini in armi del 7º. Presenti molte penne nere arrivate da lontano e tanti valligiani di ogni età, dai 4 anni agli ultra ottantenni. Infatti la festa del Col di Lana, come la chiamano qui, è molto sentita oltre che dagli alpini anche dalla popolazione locale.

    Al termine della cerimonia, dopo qualche ora di convivialità in alpina amicizia, siamo pronti per la discesa. Ma la guerra da queste parti non è finita, infatti sia dall’alto del Colle che durante la discesa, l’occhio spazia in un anfiteatro dolomitico unico. Scorgi però zone boschive dove sembra che qualcuno abbia sparso a casaccio una quantità di fiammiferi. Ma fiammiferi non sono: sono purtroppo abeti e larici abbattuti dalla forza della tempesta Vaia che il 28 ottobre dello scorso anno distrusse i boschi e qualche casa. Una devastazione per fortuna senza vittime, a differenza di quella di cent’anni fa quando la guerra non solo ferì il territorio ma cancellò buona parte della popolazione.

    Questa terra così bella, cosi sacra, così martoriata ieri e oggi, ha bisogno ancora degli alpini che come sempre non si tireranno indietro e porteranno a compimento le iniziative di sostegno che l’Ana sta mettendo in campo con “Bollicine solidali”. Lo dobbiamo fare anche in nome di coloro che qui persero la loro giovane vita e che ci guardano da cime più alte di quelle delle bellissime Dolomiti.

    Adriano Crugnola