Ricordo del gen. Benito Gavazza, riport in Patria migliaia di Caduti

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    Si è spento sabato 20 febbraio a Cormons (Gorizia) il generale Benito Gavazza. Aveva 84 anni. Aveva ricoperto comandi prestigiosi, il 5º reggimento Alpini della brigata Orobica, la brigata Julia, il IV Corpo d’Armata alpino e il comando delle Forze terrestri alleate del Sud Europa. Collocato a riposo, venne richiamato come commissario generale di Onorcaduti, le Onoranze dei Caduti in guerra . E fu proprio in questa veste che svolse l’incarico più importante della sua vita, come ha ricordato il gen. Federici nella sua orazione funebre: Riuscì a fare in pochi anni quello che nessuno avrebbe pensato: riportare in Patria migliaia di Caduti dell’Armir .

    Tanti erano alpini. Il rito funebre presenti il gen. Novelli comandante del Comando Forze Terrestri, il gen. Primicerj comandante delle Truppe alpine, mentre l’ANA era rappresentata dal vice presidente vicario Marco Valditara è stato celebrato al Sacrario di Cargnacco. Al termine una sorpresa: ha preso la parola uno dei giovani nipoti di Gavazza, Massimiliano, ed ha letto una lettera consegnatagli in punto di morte dal nonno. Ringrazio amici, commilitoni e comandanti che hanno condiviso con me gioie e dolori.

    Ringrazio per gli intensi momenti di vita alpina che ho vissuto per garantire sicurezza alla nostra Patria . E poi il ricordo della moglie Sandra, dei figli, dei sette nipoti. E infine: Alpini, portatemi sulle vostre spalle in questo viaggio verso il paradiso di Cantore . Così è stato. Sei alpini della Julia hanno portato in chiesa il feretro coperto dal Tricolore. Poi l’ultimo viaggio fino al cimitero di Cormons, paese di residenza della famiglia, cittadina al cui gruppo alpino il generale Gavazza era iscritto.

    Erano tempi difficili quando, nel marzo del 1989, Gavazza assunse l’incarico a Onorcaduti. Il blocco dei Paesi dell’Est e la conseguente guerra fredda avevano impedito qualsiasi ricerca dei nostri Caduti, in particolare sul suolo sovietico. C’erano anche difficoltà tecniche: su molti cimiteri erano sorti paesi, strade, piazze o erano diventati campi di girasoli e di patate. Gli archivi di Stato nelle varie capitali, erano inaccessibili. L’avvento di Gorbaciov e la caduta del muro di Berlino, nel novembre dell’89, aprirono la strada alle ricerche, coadiuvate anche dalle popolazioni locali che ricordavano i luoghi di sepoltura dei nostri soldati.

    Gavazza promosse accordi e trattati internazionali con numerosi Paesi, basati sulla reciprocità dei rapporti. Stipulò un protocollo con la Federazione Russa, anche per aver accesso agli archivi. Identici accordi furono raggiunti con tutti i Paesi nei quali gli italiani avevano combattuto: con l’Ucraina, la Bielorussia, la Repubblica Ceca e quella Slovacca, la Repubblica federale tedesca (unificata proprio nell’89). Dal fronte orientale, dopo l’individuazione di decine di cimiteri e di fosse comuni, furono recuperati i resti di circa diecimila Caduti e posti a ricordo una trentina di cippi nei cimiteri.

    Accordi vennero conclusi anche con gli Stati Uniti (per il recupero dei resti dei prigionieri italiani morti in terra americana), con l’India (da dove sono stati rimpatriati un centinaio di nostri militari deportati), con l’Albania, l’Egitto (per la concessione dell’area del sacrario di El Alamein), con l’Austria, il Sud Africa, l’Australia, l’Etiopia e l’Eritrea, la Slovenia e (ancora in fieri) la Croazia.

    Un lavoro davvero immane, silenzioso, che prosegue con il nuovo Commissario Generale di Onorcaduti, il generale di C.A. Vittorio Barbato e con il Capo Segreteria col. Iamiglio, entrambi dell’Arma dei Carabinieri. Fra i compiti d’istituto, anche la cura dei cimiteri di guerra e dei sacrari militari in Italia. C’è da augurarsi che, pur nelle economie imposte nel bilancio della Difesa, non manchino risorse per custodire la nostra memoria.

    Sarà anche beato il Paese che non ha bisogno di eroi, ma crediamo che lo sia ancor più il Paese che rispetta il proprio passato e coloro che, con l’esempio e il sacrificio della vita, gli hanno garantito un futuro.

    Ricordo che a Mosca…

    Fra i ricordi dei tanti anni di servizio prestato presso la nostra Ambasciata a Mosca, uno dei più significativi è connesso al fatto di essere stato designato nei primi anni ’90 a coadiuvare il generale Benito Gavazza, allora Commissario di Onorcaduti, nei suoi sforzi per avviare il rimpatrio dei nostri Caduti. Nonostante io fossi allora solo un giovane funzionario (ma alpino), egli si rese conto subito che avremmo potuto, al di là dei miei compiti istituzionali, trovare sinergie per facilitare il suo alto obiettivo.

    Egli apprezzò subito la mia perseveranza per essere riuscito, già nel 1982, ad individuare il primo cimitero in URSS (a Glubokoje, nell’allora RSS di Bielorussia) dove le autorità sovietiche concessero all’ambasciatore d’Italia a Mosca pro tempore di iniziare la tradizione di rendere il doveroso omaggio nella ricorrenza del 4 Novembre. Io stesso, negli anni in cui ero ambasciatore a Minsk (2001 2003), resi lo stesso omaggio.

    Il generale Gavazza affrontò con piglio deciso ma con innata diplomazia il rapporto con le autorità russe e con le Associazioni dei veterani per portare a termine la missione che si era posto. Il ricordo lasciato presso la popolazione dalle sofferenze e dall’umanità dei militari italiani lo aiutarono a risolvere gli innumerevoli problemi politici, storici, pratici.

    Egli era sorretto da un unico pensiero: riportarli a casa, creando nel contempo una situazione che consentisse in prosieguo di tempo all’ANA e a tanti italiani di portare in Russia testimonianza e assistenza. Sono onorato di avere contribuito al risultato ottenuto dal generale Gavazza e di avere provato la stessa commozione al momento della riesumazione dal suolo ghiacciato, vicino a Voronezh, del primo Caduto italiano individuato.

    Quel giorno, l’elicottero militare russo che trasportava i suoi resti ebbe un guasto. La cassetta arrivò a Mosca diverse ore dopo di noi. Ma Gavazza era serafico: sapeva che essa sarebbe stata la prima di una lunga serie. E così fu. In ottobre 2009 il generale mi scrisse che non avrebbe potuto partecipare ai prossimi eventi dell’ANA L’esempio rimane.

    Stefano Benazzo Capogruppo autonomo Bulgaria
    (Ambasciatore d’Italia in Bulgaria)

    Pubblicato sul numero di aprile 2010 de L’Alpino.