Radici

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    In un precedente editoriale avevamo stigmatizzato la mancanza del riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa nella bozza della Costituzione della Comunità Europea. Le ragioni di questa esclusione sono molteplici: si voleva difendere una laicità ereditata dall’illuminismo, si preferiva non costruire presupposti per allontanare dalla Comunità i Paesi del Mediterraneo di storia e cultura diverse dalla nostra.

    Questo oscuramento delle nostre radici rischia tuttavia di allontanare gli europei dall’Europa: di fronte alle grandi migrazioni dal continente africano e asiatico scopriamo che una distorta concezione dell’accoglienza rivela il lato debole d’una cultura, la nostra, che è andata progressivamente perdendo valori fondanti e, dunque, identità.

    Tutelare la nostra identità non significa rifiuto dell’accoglienza, ma adeguare i diversi modelli di vita degli ospiti al nostro modello di vita, perseguendo una integrazione non certo semplice né breve, che consenta all’Europa, e all’Italia, di restare quelle che sono.

    Si dirà: cosa c’entra tutto questo con il nostro essere alpini? Ma gli alpini non sono forse una forza viva, ricca di tradizioni e valori, punto di riferimento nella società ma, più specificatamente, in mille e mille paesi in cui c’è un gruppo associativo?Gli alpini sono a buon diritto cittadini del loro tempo, perché hanno un grande passato, sono figli di un’eredità costruita attraverso guerre, terremoti, devastazioni e ricostruzione; fatta di senso del dovere, fedeltà alle istituzioni e solidarietà. Solidarietà che significa anche vorremmo dire soprattutto di comportamento: nelle missioni di pace dei nostri reparti all’estero, nell’ambito associativo, sul lavoro, in famiglia.

    Ecco perché è nata una discussione che ha coinvolto un po’ tutti i nostri iscritti quando è stata censurata la Preghiera dell’Alpino. Diciamolo: quel taglio ufficiale della frase che si riferisce alla difesa della nostra civiltà cristiana non ci è andato giù e per la prima volta nella nostra storia non allineati con l’Ordinariato abbiamo deciso di pregare, durante le nostre cerimonie, come i nostri Padri e come ci piace.

    Del resto, nulla è più personale della preghiera. Ma quel taglio , più che il segno d’una diversa sensibilità dell’accoglienza, viene sentito come una discontinuità dell’essere alpini, del loro senso di carità e di pietà nel significato etimologico e umano più profondo. Rimossa dalla nuova versione della preghiera anche l’espressione rendi forti le nostre armi , armi che vanno intese in senso ampio a difesa di ciò che siamo, senza odio o desiderio di sopraffazione.

    Vorremmo ricordare, a questo proposito, le parole del colonnello Mario Giacobbi, comandante del 2º reggimento Alpini al rientro dalla missione in cui sono caduti sei suoi alpini, uno in un incidente di pattuglia e cinque uccisi in due attentati: Un pensiero all’Afghanistan. A questa nazione così lontana e cosi diversa dalla nostra cultura, così sfortunata ma dal popolo fiero che merita un futuro migliore. Nutriamo la speranza che col contributo nostro e dei futuri contingenti il suo desiderio di pace e stabilizzazione si compia e che finalmente abbiano il sopravvento il dialogo e la concordia .

    Una risposta di rispetto e civiltà. Un grande esempio di spirito alpino che fa la profonda differenza fra il militarista e chi si impegna, anche a rischio della propria vita, per contrastare la violenza che purtroppo dilaga in tante aree del mondo.

    No, non è rinunciando alla nostra identità fenomeno che colpisce solo le culture deboli che dobbiamo affrontare la multiculturalità, ma con la difesa di ciò che siamo, nello spirito di ciò che siamo sempre stati e vogliamo essere.