Quel monumento all’ultimo assalto

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    Lo scorso 16 novembre gli alpini del gruppo di Marco, un borgo a sud di Rovereto, hanno commemorato il 90º della fine della Grande Guerra con una cerimonia al monumento che ricorda l’ultimo scontro italo austriaco, avvenuto nel paese il 2 novembre 1918. Fu l’ultimo assalto: il 3 novembre, dopo 40 mesi di guerra in prima linea, la città di Rovereto poté unirsi a Trento italiana.

    La lunga epigrafe illustra con chiarezza l’origine del monumento. Fu l’esercito a volerlo e realizzarlo, per ricordare i Caduti dell’ultimo scontro per aprire la strada verso Trento e per celebrare quell’episodio estremo del grande conflitto. Ne trascriviamo il testo, uscendo dallo stile epigrafico, come se si trattasse di una semplice didascalia: ‘Qui gli arditi del 29º riparto d’assalto, gli alpini del 40º gruppo, battaglioni Feltre, monte Pavione, monte Avenis, gli artiglieri del 10º gruppo di montagna, audaci avanguardie della 32ª divisione (XXIX Corpo d’Armata), travolta la disperata resistenza austriaca, nel tramonto del 2 novembre 1918 balzarono vittoriosi oltre le linee nemiche aprendo all’Italia la via desiata di Trento.

    La Prima Armata, che alla redenzione del Trentino legò la sua storia di sangue e di gloria, volle qui ricordati i prodi che caddero sulle soglie della meta agognata’. Furono 30 i Caduti italiani nell’azione di quel 2 novembre, 5 ufficiali e 25 soldati, e 150 i feriti, mentre le perdite tra i reparti austroungarici che opposero resistenza sarebbero state maggiori, stando almeno alle rievocazioni dei protagonisti di parte italiana. L’autore del monumento non è anonimo: la realizzazione fu affidata ad un ufficiale artista, il tenente Sergio Vatteroni. Nato a Carrara (1890 1975), fu scultore, pittore e incisore, e realizzò altri monumenti, nella sua città e in altri centri toscani. Risulta anche tra gli artisti che collaborarono alla realizzazione del Foro Italico a Roma.

    L’inaugurazione ebbe luogo quando l’amministrazione militare del Trentino, affidata al generale Pecori Giraldi, era terminata da un paio di mesi e la Prima Armata era stata appena sciolta. La presenza di Pecori Giraldi alla cerimonia di Marco ebbe dunque anche il carattere di commiato. Con lui erano presenti il principe vescovo di Trento Celestino Endrici, il podestà di Rovereto Malfatti, i sindaci di Lizzana, Marco e Serravalle, il colonnello Faracovi, comandante il 4º gruppo alpino in quell’ultima avanzata. Francovi, divenuto generale e messo alla testa dell’Ufficio Centrale per la Cura e le Onoranze alle Salme dei Caduti di Guerra (COSCG), ebbe un ruolo decisivo nelle scelte nazionali riguardo alla sepoltura e al ricordo dei Caduti.

    Fu lui nel 1928 a comunicare la decisione di costruire il grande Ossario nazionale a Castel Dante, in coerenza a un progetto generale che corrispondeva all’ispirazione diretta di Mussolini. Era un personaggio particolarmente autorevole, dunque, quando protestò presso le autorità locali per l’insoddisfacente riconoscimento che l’avanzata vittoriosa aveva avuto, a suo giudizio, nella città di Rovereto. Il Comune si era solennemente impegnato a dedicarvi un grande monumento, del quale era stata posata la prima pietra in piazzale Santa Maria nel primo anniversario, il 2 novembre 1919.

    E invece non solo esso non fu mai realizzato, ma la lapide apposta in quel luogo, nel 1923, gli appariva insoddisfacente e quasi beffarda. Ne pretese un’altra, quella che ora sta presso il ponte di Santa Maria, sul muro dell’ex caserma della Finanza. La nuova lapide (realizzata nel 1928, nell’anniversario decennale) non a caso riporta il nome del Faracovi, che si sarà sentito almeno parzialmente gratificato. Molto più tempo dovrà aspettare la popolazione di Marco per poter realizzare un suo monumento ai Caduti.

    Le iniziative del primo dopoguerra si scontrarono con gli orientamenti politici che imponevano di relegare il ricordo dei Caduti in divisa austroungarica negli spazi dei cimiteri o comunque della pietà religiosa, negando la possibilità a partire dal 1923 di erigere loro monumenti in piazza. Il monumento ai prodi della Prima Armata sostituì dunque a lungo quello negato ai Caduti del paese, morti ‘dall’altra parte’. Anche questo doloroso rovescio della storia andrà raccontato.

    Fabrizio Rasera

    Pubblicato sul numero di marzo 2009 de L’Alpino.