Quei simboli profanati

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    Il presidente Corrado Perona, a seguito dei recenti fatti di Roma, nel corso dei quali sono state bruciate effigi di soldati americani, israeliani e italiani, ha inviato una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per manifestare lo sdegno della famiglia alpina nei confronti di chi, con gesti irresponsabili e provocazioni, offende i nostri sentimenti.

    Purtroppo la cronaca ci propone con frequenza crescente comportamenti di gruppi organizzati che trasformano vie e piazze in scenari indecorosi. La protesta è espressione legittima di libertà ma quando diventa sfida, provocazione, dissacrazione, rischia di trasformarsi in vero e proprio teppismo o peggio.

    Si dirà che tutto questo non è una novità, ma per noi riveste una gravità inqualificabile quando sono coinvolti esponenti politici di rilievo, persone che ricoprono cariche istituzionali. Li abbiamo visti presenziare a manifestazioni come quella citata sopra, oppure a Vicenza assistere senza imbarazzo ad un’ondata di fischi riservati all’inno nazionale, o trovare indulgenti giustificazioni per atti di aggressione nei confronti di persone che hanno la sola colpa di essere parenti di un caduto in missione di pace. Fatto accaduto recentemente a Venezia.

    È stato già riferito su questo giornale di un’opera d’arte , esposta ad una mostra di Bolzano, che associa l’inno di Mameli ad uno sciacquone. Anche in questo caso nessuno scandalo. È vero che il mondo della politica ci ha irrobustito lo stomaco e ormai digeriamo tutto o quasi, ma quando vediamo profanare i nostri simboli, che sono quelli di tutti gli italiani la Bandiera, l’inno nazionale, l’esercito, la memoria dei Caduti cominciamo a porci una domanda: fino a che punto è tollerabile tutto questo?

    Per statuto la nostra Associazione è apartitica, non apolitica. Non possiamo quindi non denunciare i troppi segnali che vanno in direzione di un gioco allo sfascio delle fondamenta su cui si regge l’idea di Patria. Per qualcuno che siede in Parlamento i valori dell’unità nazionale contano poco o nulla. Si calcolano solo le convenienze, ovviamente di parte. Ma se un rappresentante dello Stato non esercita il suo ruolo con senso di responsabilità o, protetto dall’immunità parlamentare, aderisce a manifestazioni di dubbia legalità, tutti si sentono autorizzati a considerare la trasgressione un modello vincente di vita, rafforzando così il convincimento che il rispetto delle regole è buono solo per i poveri di spirito.

    Segnali allarmanti in questa direzione, con il rifiuto delle norme elementari di comportamento, di rispetto dei docenti, arrivano sempre più spesso dal mondo della scuola. L’autorevolezza di chi riveste un ruolo non viene più contestata, ma ignorata, a meno che non si seguano modelli istrionici visti in TV. Cominciamo a pagare una dissennata azione di diseducazione dei giovani, che negli ultimi trent’anni ha avuto come obiettivo l’indebolimento dell’azione formativa della famiglia, della scuola e della chiesa. Per completare l’opera è stata abolita di fatto anche la leva, da tutti riconosciuta un momento formativo di ineguagliabile valore civile.

    Forse mai come in questi tempi abbiamo bisogno di mantenere forte e coeso il tessuto sociale, di recuperare il senso dello Stato. Ci sono all’orizzonte sfide come la globalizzazione dell’economia, la conflittualità crescente in diverse aree del mondo, la diffusione dell’arma atomica in paesi con modesta propensione per la democrazia, lo squilibrio crescente tra paesi ricchi e quelli poveri, con conseguenti migrazioni di portata incalcolabile, e il terrorismo.

    Non ci sono consentite disaffezioni alla nostra identità nazionale. Le Istituzioni, maturate con tanti sacrifici dei nostri Padri e frutto di millenni di esperienze culturali, politiche, religiose, devono essere un riferimento sicuro, prestigioso, rispettato. Non è purtroppo quello che lo spettacolo della politica ci sta offrendo.

    Vittorio Brunello