Quando i reduci raccontano

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    Da qualche tempo assistiamo ad una rilettura di avvenimenti della prima e della seconda guerra mondiale oltre che del periodo d’intermezzo. Ne scrivono i quotidiani nelle pagine riservate alla cultura, e poi le riviste e infine ne trattano i libri, soprattutto quelli che appaiono definiti contro corrente, scritti da personaggi allineati sulle teorie dominanti ma, improvvisamente, divenuti fastidiosi, perché mostrano anche il rovescio d’una medaglia che non si voleva guardare.

    Ma oltre a questa rivisitazione di come eravamo c’è un altro fenomeno che ci interessa da vicino: è un moltiplicarsi di libri di memorie dei nostri reduci. Libri che hanno la dignità letteraria d’una casa editrice vera e propria ma che spesso vengono addirittura stampati da tipografie per conto dello stesso autore, non vengono affidati a una rete di distribuzione e devono essere richiesti direttamente a chi li ha scritti.

    Cosa spinge questi reduci, ormai più vicini ai novanta che agli ottant’anni, a scrivere di avvenimenti di sessanta, sessantacinque anni fa?Sembra quasi che, sentendo ormai breve il loro tempo, vogliano lasciarci una testimonianza per rimettere a posto qualche tessera di mosaico, per dirci che no, non andò proprio così. Che no, non combatterono dalla parte sbagliata, combatterono da soldati, con valore, con dignità, con o­nore, con umanità per quanto possa sembrare incredibile in una guerra terribile e assurda. Ci raccontano verità scomode che sarebbero sepolte con loro e che invece servono alla ricostruzione di quanto avvenne.

    Verità taumaturgiche, per i nostri reduci che le perpetuano e per noi che siamo invitati a capire. Tutto questo ci induce a credere che sia sulla grande guerra, ma soprattutto sulla seconda, non sia mai stata fatta chiarezza, non siano mai state illuminate le zone d’ombra. Che il passato non sia affatto passato e che sia destinato a ritornare fino a quando non sarà stato definitivamente chiarito. La lettura degli avvenimenti di oltre mezzo secolo fa, avvenimenti così diversi dalla realtà d’oggi, va lasciata agli storici, come del resto è accaduto in tutti i Paesi europei, che vissero tragedie forse più grandi delle nostre.

    Sembra che la lettura storica del passato da angolature diverse, una lettura costellata da tanti distinguo, da divisioni in buoni e cattivi sia una nostra esclusiva. Mentre assistiamo a questo prezioso recupero di memoria dei nostri reduci, scopriamo sempre più spesso l’interesse dei giovani che nel loro corso di studi universitari e nelle tesi di laurea si accostano alla prima e alla seconda guerra mondiale, al periodo più problematico e drammatico della nostra storia moderna. Lo fanno con innocenza e disincanto, senza le passioni che portano a un giudizio, ma con la serietà del ricercatore, dello studioso sospinto dal desiderio di capire.

    In fondo, è quanto vogliono i nostri reduci, che per oltre mezzo secolo hanno parlato con l’esempio e che ora, attraverso umanissime e struggenti testimonianze, ci affidano verità inconfutabili e preziose.