Sembrava una battuta sullo slancio emotivo provocato dalla spettacolare sfilata di Latina, la domenica dell’Adunata nazionale. Invece la mininaja come l’ha definita il ministro della Difesa di ragazzi e ragazze dai 18 ai 25 anni reclutati per quindici giorni in una caserma di alpini, si sta trasformando in uno straordinario successo sin dalle prime battute e spalanca orizzonti insperati. Singolare è stata anche l’accoglienza di questo esperimento da parte di giornali e televisioni, che sembrano scoprire dopo aver fatto tanto per demolirlo il servizio di leva.
Qualcuno pensava che il numero di 140 aspiranti alla mininaja non sarebbe stato raggiunto. Soprattutto per i tempi ristretti: solo il 22 luglio la nostra Associazione è stata incaricata della raccolta delle domande: termine ultimo, la prima settimana di settembre. La preoccupazione di un insuccesso era fondata, invece il numero dei candidati (la caserma di San Candido non può ospitarne più di 140) è stato superato alla grande. E poi si parla di caduta di valori.
Scopriamo che quando si parla di alpini, questa caduta non esiste, che il cappello con la penna è ancora un punto di riferimento anche per i giovani, che il servizio militare non è più considerato un cuneo nella vita dei giovani , come ebbe a definirlo qualche personaggio dall’alta carica istituzionale. Questa sparuta pattuglia che ha vissuto per due settimane con gli alpini del 6º, a San Candido, condividendo addestramento e marce, è l’avanguardia della speranza.
Perché la vita dura di sacrificio e disciplina sia pur breve che questi giovani si sono auto imposti, lascerà in loro un segno. Si avverte, nel loro giovanile entusiasmo aperto ad esperienze di sacrificio e fatica ma altamente appaganti, un forte desiderio di recupero di valori, in un momento storico nel quale il relativismo prevale sui punti fermi, con un processo disgregatore che non sembra risparmiare nulla e che colpisce la religione e il senso morale, le istituzioni, la società e la famiglia. Un fenomeno cominciato quasi in sordina, mirando al senso religioso, con l’attacco a tradizioni radicate: abolendo il presepe dalle scuole elementari, e conseguentemente anche il Natale, trasformato in festa della luce , intesa come quella delle vetrine e dei lampioni.
Il tutto in ossequio ad un malinteso spirito di multiculturalismo, pronto a sacrificare la cultura propria per accettare, anche negli aspetti negativi, quella altrui. Poi è stata la volta del crocifisso nelle aule, tolto ma rimesso sia pur dopo un pronunciamento del Consiglio di Stato, per finire con la scultura della rana crocefissa esposta in una mostra d’arte moderna a Bolzano durante la visita del Papa. Dalla religione alle istituzioni: la bandiera oltraggiata, l’inno nazionale dileggiato, la Costituzione retrocessa a carta anacronistica dalle regole da disattendere o personalizzare.
È difficile non riferire a questa caduta di valori il disorientamento sociale e civile che pervade la nostra quotidianità, le cui conseguenze riscontriamo senza esclusioni di campo, nella famiglie, nella scuola, in parte della classe politica, nel nostro stesso modello di vita che si fonda su tradizioni, abitudini e memorie, ma che non può negarsi aspettative e speranze. Da San Candido ci arriva un segnale positivo, si accende una luce. Noi ci auguriamo che si trasformi in un faro, nella penombra d’un Paese dalla precaria identità che deve riscoprire se stesso, la sua grande storia ma anche le sue straordinarie capacità.
Pubblicato sul numero di ottobre 2009 de L’Alpino.